General Management

Trusting leadership. Fidarsi è bene ma… non fidarsi è meglio?

di Nazareno Galieni*

La sfida di ogni leader è di guidare le persone verso il raggiungimento degli obiettivi.
Per vincere tale sfida non esiste uno stile di leadership migliore degli altri, ma è necessario adottare l’approccio più efficace in relazione al contesto, alla tipologia di compito e alle caratteristiche dei collaboratori.
Diventa fondamentale allora chiedersi quale sia lo stile più adatto per preparare i collaboratori ad affrontare un contesto così mutevole e imprevedibile come quello che stiamo vivendo oggi.
I repentini mutamenti del mercato richiedono alle persone di confrontarsi spesso con situazioni per le quali non esistono procedure o soluzioni precostituite ed esse devono imparare a contare su di sé, a prendere velocemente decisioni e ad assumersi la responsabilità delle loro azioni.
Il leader quindi non può essere solo colui che ‘comanda e controlla’, ma deve diventare una figura che incoraggia e supporta, che trasmette fiducia e promuove l’iniziativa e la responsabilità.
In particolar modo, se vuole promuovere l’innovazione nella propria azienda, il leader deve imparare a fidarsi, a cedere un po’ di potere e controllo per lasciare alle persone la possibilità di esplorare nuove soluzioni, sbagliando e imparando dai propri errori.
Fidarsi tuttavia non è facile e comporta il rischio di rimanere delusi o traditi o addirittura imbrogliati; come recita il proverbio, infatti, “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”.
D’altro canto anche non fidarsi implica dei costi notevoli in termini di tempo ed energie richieste dalle attività di controllo, ma anche costi di tipo psicologico derivanti dal vivere in un clima di apprensione, pericolo o minaccia.
Oltre a ciò il ‘controllo privo di fiducia’ porta le persone a deresponsabilizzarsi, a diventare passive e a perdere la motivazione e l’iniziativa che sono proprio le caratteristiche che i leader vorrebbero/dovrebbero incentivare.
I leader di oggi devono quindi trovare un’alternativa che consenta loro di superare da un lato i costi della non-fiducia e dall’altro i rischi della fiducia.
La buona notizia è che un terza via esiste e può essere appresa; essa è rappresentata dalla cosiddetta smart trust o fiducia intelligente.
La fiducia intelligente è composta da due dimensioni: quella emotiva, fatta di passione, slancio, generosità e fiducia nelle potenzialità umane; quella razionale, più fredda e analitica, che valuta oggettivamente i fatti (storia professionale, reputazione, competenze, motivazione, ecc.) prima di concedere fiducia.
Impostare la gestione delle risorse umane sui presupposti della fiducia intelligente non è semplice né immediato, ma con un adeguato training è possibile cambiare la prospettiva con la quale si guarda ai propri collaboratori e rimanere stupiti dai risultati che si possono ottenere anche dalle persone più impensate quando esse sentono che ci si fida di loro e si crede nelle loro potenzialità.

*Docente CUOA Business School – Percorso L’Essere Leader