General Management

HR: da interpreti a testimoni

Luca Vignaga*

Se c’è una categoria professionale che stabilmente va in “analisi”, è proprio quella del personale. Chi si occupa di risorse umane si trova in continuazione a discutere del proprio ruolo in azienda. Un CEO, un CFO, COO sanno precisamente qual è il loro obiettivo giornaliero; uno che si occupa di risorse umane può essere un po’ confuso avendo molti obiettivi e rischia di non capire le vere priorità.
Precisiamo un punto: se l’azionista è il detentore e il custode dei valori dell’azienda, il responsabile delle risorse umane è il testimone day by day di questi valori.
Un esempio? Le assunzioni e i licenziamenti sono gestiti da questa figura: è la persona che ci mette la faccia – dalla “nascita” alla “morte” – lungo tutta la carriera professionale del lavoratore all’interno dell’impresa. Non è un dettaglio questo, ma spesso ci si dimentica che rappresentare un’azienda nei confronti dei propri colleghi significa non confondere il ruolo di interprete con quello di testimone: l’interprete impara un copione e ha una maschera addosso; il testimone assume dentro di sé dei valori e li pratica. Questa semplice e fondamentale distinzione, fa spostare il “potere”, da intendersi non come gestione strumentale a fini personali, di questa categoria professionale e ne definisce l’ambito d’azione.
Ecco che allora occuparsi di risorse umane vuol dire principalmente essere:

  • “una Vedetta” aziendale in grado di cogliere i trend che si stanno manifestando nel mondo esterno
  • un Misuratore” per fare un costante assessemnet per verificare le skills esistenti e quelle prospettiche presenti nel mondo interno
  • “un Manutentore” che sa mettere in atto tutte le dinamiche per cercare di coprire i gap di competenze che si manifestano in azienda
  • “uno Stratega” che sa contribuire ai cambiamenti del business model aziendale.

In un libro di recente uscita, HRevolution (Franco Angeli Editore), l’autore, Alessandro Donadio, chiama gli HR ad essere degli “Enabling Manager”, degli abilitatori della “social organization” (#socialorg). Per #socialorg Donadio intende la piattaforma aziendale di incontro che diventa sociale, culturale e organizzativa in cui la tecnologia consente “alle persone ad operare su larga scala (…) dove l’umano diventa risorsa proprio quando non è fattore produttivo, ma immaginativo, datore di senso e costruttore di contesti in cui si fanno esperienze, si cresce, e anche si resiste insieme”.

Se il ruolo degli HR è in continua evoluzione, occorre rivedere gli strumenti del passato e darne una nuova veste, ma è ancor più necessario capire e individuare gli strumenti da inventare a fronte di una rivoluzione tecnologica che sta scompaginando il “vecchio” mondo che conosciamo. Parole come employer brandig, social recruiting, social induction, learning organization, company community, non possono più essere tenute nel cassetto: vanno praticate e re-inventate.
Qualcuno pensa che la rivoluzione tecnologica non vale per la propria azienda perché troppo piccola o in un segmento di mercato maturo? È come dire che lo smartphone lo usano solo i manager. Tutte le aziende vivono già, ma spesso noi non ce ne accorgiamo, due dinamiche che sempre più si integreranno: il mondo social e le persone.
Nelle aziende che viviamo, si tratta di capire le modalità e l’ampiezza dell’intervento da effettuare. Infatti ogni strumento operativo di una value people proposition contiene dentro di sé un valore costitutivo e necessario.
Un esempio? Il sistema di performance review (la tanto decantata valutazione della prestazione) è oggi uno strumento che ha perso smalto e viene visto, da chi lo “subisce”, come burocratico, molto spesso falso e inutile ad aiutare le persone nel cambiamento. Non possiamo però dimenticarci che alla base della performance review vi è il fondamento della nostra capacità di migliorarci: il feedback. Fin dai primi giorni noi ci evolviamo grazie ai continui feedback che il contesto – prima familiare in senso stretto, poi sociale in senso largo – ci fornisce. Ecco che allora non basta, anzi sarebbe una perdita grave, abbandonare, a causa di uno strumento inefficace, il valore del feedback e non trovare nuove soluzioni più aderenti e confacenti alle persone che sempre più vogliono sentirsi protagoniste e non sudditi. Non è un caso che molte organizzazioni (GE, Netflix, Accenture, Microsoft…) stiano sperimentando – con fatica –  un feedback continuo e più naturale con i propri collaboratori.
Esploratori del futuro, questo occorre essere in un contesto dai cambiamenti inattesi.
L’HR Revolution è in atto, dipende dai testimoni (competenti) farla diventare un’HR Evolution.

*HR Director Marzotto Group

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