Finanza d'Impresa ICT Management

Digital@finance: Il CFO dell’era digitale

di Riccardo Bovetti*

Che differenza passa tra la strumentazione di bordo del Carro di Cugnot e quello di una Tesla Model S? Ovverosia il potere (ampiamente inespresso) dei Business Analytics

“Io distinguo da una parte la totalità delle esperienze sensibili, e dall’altra la totalità dei concetti e delle proposizioni che sono enunciati nei libri. I rapporti interni fra i diversi concetti e proposizioni sono di natura logica, e il compito del pensiero logico è strettamente limitato a stabilire tutte le connessioni interne fra concetti e proposizioni secondo regole ben definite, che sono appunto quelle della logica. I concetti e le proposizioni acquistano “significato”, cioè “contenuto”, solo attraverso la loro connessione con le esperienze sensibili. Questa connessione è puramente intuitiva, non è essa stessa di natura logica. Ciò che distingue la vuota fantasia dalla “verità” scientifica è il grado di certezza con cui questa connessione, cioè questa associazione intuitiva, può essere compiuta, e null’altro”.
Albert Einstein

Nel contesto macro e micro economico attuale caratterizzato da un tasso di volatilità e incertezza senza precedenti, dal susseguirsi di cicli e micro cicli di espansione e contrazione e dall’affermarsi di modelli di business radicalmente nuovi, è inimmaginabile continuare a leggere il business con strumenti, modelli, strutture informative e indicatori costruiti in un’altra era economica. O peggio ancora continuare a produrli per non leggerli. Come mettere la spia della benzina sulla Tesla, per intenderci.

Il tema dell’utilizzo strategico dei dati dell’azienda per produrre informazioni utili alla presa di decisione non è certamente un tema nuovo. Fiumi di parole (e di denaro) sono stati spesi per descrivere e costruire strutture dati, modelli di analisi e reporting che a seconda del periodo storico abbiamo chiamato DataWharehouse, Business Intelligence e Corporate Performance Management ed in moltissimi casi questi investimenti hanno prodotto il risultato atteso in termini di aumento delle capacità decisionali e, di conseguenza, di aumento del valore delle aziende che hanno intrapreso questo tipo di percorso.

L’evoluzione tecnologica rende oggi disponibili a un costo ragionevole strumenti e capacità elaborative che sono in grado di fare ulteriormente evolvere queste capacità analitiche, aiutando a creare connessioni e correlazioni (anche di natura statistica) che possono fare emergere inaspettati rapporti di causa/effetto sui quali impostare strategie di business.

Alla base di tutto ci sono i dati. Immensi serbatoi di valore distribuiti, non integrati, disomogenei e variegati che non aspettano altro di essere esplorati in modo massivo ed automatico alla ricerca di correlazioni che possono trasformarli in informazioni e soprattutto in indicazioni di trend che possono essere proiettati nel futuro come indicazioni di futuri comportamenti o performance.

La quantità di dati prodotti e disponibili per l’analisi è in continuo e costante aumento. L’inarrestabile trend della digitalizzazione dei processi trasforma transazioni di qualsiasi tipologia in dati che vengono memorizzati con formati e strutture spesso proprie e proprietarie del tool o del processo che rappresentano. Gli stessi strumenti di reporting e business intelligence prima citati sono dei generatori potenzialmente infiniti di informazioni e dati con una struttura definita e decodificabile (anche se spesso non integrata con il resto dei dati prodotti dall’azienda).

Nel mondo esterno, nella rete, il trend è ancora più significativo sia per quantità di informazioni prodotte, che per eterogeneità (o per contro estrema ripetitività) di contenuto e di formato. Senza voler abusare di esempi che sono sotto gli occhi di tutti, per comprendere la portata del fenomeno è sufficiente fare una passeggiata nel centro di una città turistica oppure visitare una qualsiasi mostra e provare a contare le migliaia di scatti identici, di commenti postati su social network, di messaggi istantanei che vanno ad accumularsi e a sedimentare in rete in ambiti a volte ampiamente accessibili e a costituire dati potenzialmente utilizzabili per analisi statistiche e di correlazione.

Stiamo, ovviamente, parlando di potenziale informativo. Non di informazioni strutturate e pronte all’uso, bensì di dati la cui selezione, pulizia, correlazione, aggregazione e trasformazione in oggetti informativi da integrare nel processo decisionale può essere molto costosa.

E proprio nella strutturazione di questi processi virtuosi di discrimine e di selezione il CFO e il finance possono e devono giocare il loro ruolo cavalcando queste nuove praterie informative:

  • aiutando la strutturazione di strumenti di Big Data ed Analytic all’interno dell’azienda, anche esplorando tecnologie di tipo statistico e di processo informativo per tramite (anche) di strumenti di machine learning
  • supportando nell’identificazione di quelle fonti esterne, per lo più destrutturate, che possono essere utili per identificare e decodificare trend e relazioni fattuali tra variabili di tipo economico e variabili esogene.

L’intensità degli investimenti necessari e l’ampiezza degli interventi da prevedere dipende del punto di partenza dell’azienda e mai come in relazione all’adozione di questo tipo di tecnologie sarà fondamentale la qualità delle scelte effettuate in termini di infrastrutture e di software di base.

Purtroppo in taluni casi questo punto di partenza può essere un po’ desolante e presentare:

  • sistemi informatici di base (dagli ERP ai sistemi verticali di processo tanto commerciale quanto produttivo) eterogenei e non integrati
  • processi non coperti da strumenti informatici, ma interamente cablati su strumenti di produttività personali (fenomeno diffuso trasversalmente all’azienda dai processi di CRM al reporting)
  • cicli previsionali spesso non integrati e non omogenei in termini di strutture informative di sviluppo rispetto ai cicli consuntivi
  • dati di contesto esterno (mercato, competitor, clienti, fornitori) e dati di processo esternalizzato (ad esempio customer care in outsourcing) non integrati e non correlati ai dati interni

La good news in questo caso è che, proprio in presenza di situazioni complesse e disarmoniche come quelle sopra descritte, il valore informativo che può essere sbloccato e utilizzato per analisi nuove e ricche di elementi per la decisione è più elevato.

Come sempre però il fattore umano gioca un ruolo rilevante e l’evoluzione (anche di comportamenti) manageriale che è connaturata a un cambiamento di paradigma di questo tipo  non è trascurabile:

  • per chi deve rendere disponibili le informazioni relative ai suoi processi di lavoro (e deve essere convinto di poter ottenere un valore aggiunto tangibile nel farlo)
  • per chi deve aiutare a strutturare analisi con una vista diversa da quella cui è abituato (e quindi imparare a guardare al di la del proprio naso e delle proprie abitudini)
  • per chi vede cambiare il proprio ruolo da “dispensatore dati” (magari costruite in articolati fogli di lavoro protetti da password) a interprete di informazioni (largamente accessibili in azienda e pertanto questionabili).

Un pragmatico visionario: Identikit del CFO nell’era del Digitale

Trovare un punto di sintesi tra la gestione delle tecnologie e il governo delle persone costituirà la sfida principale per la costruzione di una funzione finance capace di affrontare con successo il futuro. Il CFO dell’era digitale avrà successo solo se sarà in grado di costruire attorno a se dei team di persone capaci di sostenere il discorso sulla tecnologia, così come quello sull’innovazione in un contesto culturale normalmente avverso al rischio e al nuovo.

Per consentire al finance di concentrarsi sempre più su task ad alto valore aggiunto (come lo sviluppo di correlazioni statistiche analitiche e la proiezione di scenari e trend in ottica evolutiva) è necessario un adeguato livello di integrazione e automazione dei processi transazionali utili a generare le fonti dati necessarie per l’analisi.

Le tre priorità strategiche del CFO nella Digital Age dovrebbero pertanto essere:

  1. rivedere e attualizzare il ruolo del finance nell’azienda allineandolo con le priorità di business e con la strategia complessiva e focalizzando gli investimenti nella direzione di tecnologie e competenze (sia sviluppando team esistenti che acquisendo talenti dall’esterno) quanto più possibili smart
  2. ripensare alle scelte tecnologiche, creando tool e sistemi capaci da un lato di aumentare il livello di automazione transazionale e dall’altro di integrare informazioni eterogenee per renderle utilizzabili in termini di proiezione e decisione. I CFO saranno chiamati a identificare e valutare continuamente le tecnologie emergenti in termini di valore che possono produrre per l’azienda in una delle due dimensioni citate in precedenza (modello di business o efficienza di funzione) e assicurarsi che, tramite un robusto change management gli investimenti scarichino a terra il potenziale previsto
  3. investire pesantemente in competenze per supportare il cambiamento di modello operativo della funzione, le cui tendenze sono impossibili da ignorare (shared services, outsourcing, robotica) e che condizioneranno anche i percorsi di crescita e le possibilità di carriera delle risorse della funzione. Le competenze del nuovo finance team dovranno includere capacità statistiche oltre che analitiche, capacità informatiche orientate alla gestione di grandi moli di dati oltre che soft skills irrinunciabili di comunicazione e condivisione (qualità ad oggi non propriamente espresse in modo completo) al fine di acquisire in azienda la necessaria autorevolezza per rappresentare scelte, analisi e insight anche di business.

 

*Partner, Financial Accounting Advisory Services, EY SPA
Consumer Product and Retail Middle Market Cluster Leader Italy
Growth Navigator ™ Platform Leader Italy, Spain and Portugal

Relatore FINANCE DAY  – 22 giugno 2017
CUOA Business School