Wine & Food

Enoturismo: il vino è ospitale.

Talento, virtù e cultura per aumentare il ‘valore’

Da noi, gli homini dovrebbero nascere più felici e gioiosi che altrove, et però credo che molta felicità sia agli homini che nascono dove si trovano i vini buoni”, così scriveva Leonardo da Vinci e in un’epoca in cui il nettare d’uva prodotto nel nostro Paese era certamente meno pregiato di oggi.
Gli italiani nascono davvero più felici perché in Italia si trovano vini buoni? Dovrebbero, per molte ragioni, prima fra tutte la possibilità offerta dal nuovo decreto ministeriale sull’enoturismo, approvato da qualche mese, grazie al quale potrà avvenire una piccola rivoluzione anche all’interno delle cantine più piccole.

“Un provvedimento fortemente strategico, uno strumento di diritto per il quale l’iter normativo si è concluso lasciando spazio ai decreti attuativi regionali – spiega Alessandra Priante direttrice Europa UNWTO –  e che consente al turismo legato al vino di acquisire ancora maggiore dignità: si tratta di un settore produttivo che in Italia vale più di 2,5 miliardi di euro all’anno, con 14 milioni di accessi di turisti e winelover; e che ora, con questi interventi normativi, è destinato a crescere esponenzialmente. Il decreto pone nelle mani dei vignaioli e dei territori uno strumento straordinario nell’ottica della multidisciplinarietà. Le cantine che vorranno far conoscere e promuovere il vino nei luoghi e negli spazi di produzione, e raccontare la bellezza delle autoctonie avranno accesso a semplificazioni, agevolazioni e ai benefici fiscali previsti per gli agriturismi”

Tra i punti fondamentali del decreto ministeriale sull’enoturismo vi è la formazione.

Come e perché la formazione può cambiare il concetto di enoturismo e perché è così importante oggi?

“Il legislatore – continua Alessandra Priante – definisce enoturismo tutte le attività di conoscenza del vino espletate nel luogo di produzione, le visite nei luoghi di coltura, di produzione o di esposizione degli strumenti utili alla coltivazione della vite, la degustazione e la commercializzazione delle produzioni vinicole aziendali, anche in abbinamento ad alimenti, le iniziative a carattere didattico e ricreativo nell’ambito delle cantine. Le attività di conoscenza prevedono un livello di preparazione professionale molto più ampio. Una formazione che è sia verticale che orizzontale proprio perché siamo di fronte ad una declinazione ampia della straordinaria portata di una attività complementare a quella di produzione del vino, che apre nuovi scenari anche per il lavoro nel settore: coinvolgendo tutta la filiera e facendo divenire il mondo del vino un veicolo di connettività con cui costruire reti culturali, sociali ed economiche, cui potrebbero aggiungersi magari anche altre certificazioni e formazioni ad hoc per gli operatori enoturistici”.

La Lombardia è stata la prima regione a recepire il decreto, quali saranno le prossime regioni e le tempistiche di recepimento?
“L’Italia tutta è un Paese in cui da sempre il Vino è protagonista – interviene Cristina Mascanzoni Kaiser, esperta di wine hospitality e docente CUOA Executive Master in Wine Business – Immediatamente a ruota della Lombardia troviamo il Veneto, che con Verona (Una delle World Wine Capitals) desidera anche essere protagonista nel 2021 candidandosi ad ospitare la Global Conference del Turismo del Vino organizzata dalle Nazioni Unite. Le altre regioni sono certa rapidamente si allineeranno per dare i migliori strumenti a tutti i loro produttori e permettere loro di beneficiare di un territorio accogliente e pronto alle sfide del turismo attuale”.

Il vino quindi come espressione del territorio e della sua ospitalità.

“Ospitalità è qualcosa che va oltre all’accoglienza – aggiunge Cristina Mascanzoni Kaiser – significa saper offrire un’esperienza nel momento in cui si riceve un cliente, farlo sentire a proprio agio e offrire la competenza di prodotto e territorio. A me piace sempre citare su questo Arrigo Cipriani, che diceva essere “un talento, una virtù, oltre che una cultura. Un talento che noi italiani storicamente possedevamo in misura maggiore rispetto a qualsiasi altro Paese del mondo, e che progressivamente abbiamo smarrito”.

L’Italia a che punto si trova in ambito ospitalità in cantina? Su cosa dovrebbero investire le cantine italiane?

“L’ospitalità in cantina è un mercato relativamente nuovo, con gli aspetti positivi e negativi che ciò comporta. – conclude Alessandra Priante – Sicuramente è anche acerbo, ma questo evita di dover affrontare una realtà incancrenita da anni dello stesso approccio. Per prima cosa bisogna investire, a mio parere, in formazione. Formazione del personale che deve imparare ad accogliere un ospite e non ad organizzare una mera degustazione, formazione anche culturale e territoriale e non solo di prodotto. Le cantine dovrebbero disporre di nuove figure professionali quindi, i cosiddetti, wine hospitality manager, che appassionati di vino (magari sommelier) e con solide basi di gestione turistica riescano a mettere insieme il meglio dei due ambiti regalando esperienze personalizzate ad ogni visitatore che sceglierà la cantina per il vino, ma anche per la storia ed il territorio e la cultura che riesce a far vivere. Solo personale formato riesce a ben operare sui servizi accessori e soprattutto a far fruttare questo business alla cantina”.

In alcuni Paesi l’ospitalità (enoturismo) ha sopravanzato la vendita del vino quale principale voce di fatturato per le cantine. Saper fare il business model, saper cosa proporre per avere i margini migliori è l’altra faccia della medaglia che il wine hospitality manager deve saper padroneggiare al meglio e per farlo ci vuole la corretta formazione specialistica, ma un wine hospitality manager in Italia ha un vantaggio: è nato più felice o lavora comunque dove si trovano vini davvero buoni.

Autore: Francesca Pedrazza Gorlero, Team di Progetto Executive Master in Wine Business 

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18 febbraio 2020, dalle 17.00 alle 19.00