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Ineludibili Crossroads. Ciò che faccio è ciò che sono?

Nel lontano 1988, per acquisire fluidità nel mio inglese e approfittare di una liaison famigliare, rubai un trimestre dal canonico anno universitario e mi recai negli Stati Uniti, per esattezza a Franklin – Massachusetts.
Fu un periodo denso, in cui allo studio della lingua affiancai quello serale di Diritto del Lavoro, esame che avrei poi sostenuto al rientro a Roma, e alcune ore settimanali di lavoro come cassiera in una pasticceria. Le mani in pasta e il cervello pieno di stimoli.

Tempo indimenticabile.
Accumulavo visuali inedite, alcune più di altre.
Mi colpiva sempre tanto che, come prima cosa da quelle parti, mi domandassero: “What’s your job?” e non “What’s your name?”, appena dopo una stretta di mano.

Il lavoro che qualifica.
Il lavoro che racconta di te più di quanto possa fare la tua famiglia o il luogo da cui provieni.
Il lavoro che dice chi sei come persona.
Dopo circa 30 anni di percorso professionale – lungo il quale il Master CUOA è stato un indubbio turning point – mi è capitato di recente di ripensare a quella domanda che mi stupiva allora. E non solo perché avrei dovuto rispondere che il mio “job” consisteva nel fare la cassiera, incapace com’ero di sintetizzare nella risposta anni di studi classici ed economici…

Credo fermamente che ognuno di noi abbia un compito in questa vita.
Gli indiani lo identificano come il dharma individuale, mentre i giapponesi parlano di Ikigai, riferendosi alla personale raison d’être, ossia il magico punto di intersezione tra ciò che amiamo fare (passione), ciò che ci risulta naturale (vocazione), ma anche ciò che si rivela utile al mondo (missione), senza trascurare il necessario riconoscimento economico (professione).

Può capitare di vivere a lungo senza intercettare questo punto. Perché i traguardi imposti dall’esterno, perseguiti senza troppe domande o per mera necessità, ci costringono a relegare il nostro talento innato dentro un cassetto.

Credo sia determinante assumersi la responsabilità della propria esistenza, definendone cose da modificare, lavoro da sbrigare, traguardi da raggiungere con la meticolosità di un business plan. Occorre coraggio, oltre ogni prevedibile misura.

Per personale esperienza, gli esiti migliori sono venuti quando il “ciò che faccio” si è situato più adiacente possibile a “ciò che sono”. E la leadership, gli obiettivi di vendita e la forza del team sono passati attraverso questa ispirazione.

Autore: Stefania Colantonio, Direttore Commerciale – International Markets Liu Jo S.p.A., Alumna Master CUOA.