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Un forte senso di urgenza nel passaggio generazionale

Antonio Miccoli_CUOA

di Antonio Miccoli,
Managing Partner di Optimum Consilium
e Alumno Executive MBA CUOA Business School

… in tarda notte in un punto non precisato del nord-est del Paese…

Driin!! Driin!!

A: … pronto…

B: Ciao scusa l’ora…

A: Non riesco neanche a capire se è molto tardi o molto presto… che succede amico mio?

B: Devi ascoltarmi, ho preso una decisione!

Fu una telefonata non tanto lunga, ma molto importante.

A: Facciamo che ora provo a prendere sonno se vuoi che domattina, anzi stamattina, ad un orario accettabile sia in azienda da te. Pensaci bene ti prego, e se domani sarai della stessa idea, ti prometto che ti aiuterò.

Questa volta suonò la sveglia e non fu un tintinnio soave. Fu come essere all’interno del campanile della vicina chiesa, quando i rintocchi si fanno più vigorosi e le campane suonano a festa.

Mi alzo con un cerchio abbastanza importante alla testa e vado a cercare aiuto in frigo. Dopo mezz’ora, restaurato e con una colazione significativa in corpo, accendo l’auto e mi dirigo in azienda dall’amico nottambulo.

Un’azienda con grandissime potenzialità, non sfruttate appieno ovviamente. Qual è il motivo? Le consuete incomprensioni per via dei rapporti di forza al vertice. Un passaggio generazionale pianificato più volte ma mai davvero applicato. Un genitore che non si fida della propria prole, una prole che non può azzardarsi a prendere delle decisioni perché: “el paron son mi”. Una situazione troppo diffusa? Difficile dirlo, ma certamente presente nel nord-est italiano.

In un batter d’occhio scendo dalla giostra dei miei pensieri e mi ritrovo in sala riunioni con la persona che sulla carta è il direttore generale dell’impresa, ma come tutti sanno alla presidenza di questa impresa siede “il Padre”. Bene abbiamo il Padre, il figlio, cosa manca? Torniamo a noi!

B: Sono arrivato ad una conclusione, me ne vado. Vendo le mie quote e saluto la mia famiglia di origine. Mi aiuti a trovare una nuova impresa da comprare?

A: Atteso che opportunità ce ne sono nel mercato e direi che ho già qualche asso nella manica, sei certo che sia la soluzione migliore?

B: Senti, sai benissimo da quanti anni sto aspettando un passaggio di consegne e quanto io mi impegni ogni giorno per lavorare a questo con la mia famiglia, per quanto complicato sia. La situazione è stagnante da troppo tempo, mio padre vuol mollare, ma poi non molla mai, io mi sto facendo vecchio e non ho nessuna intenzione di iniziare un nuovo percorso imprenditoriale tra qualche anno, non ne avrei le energie. Voglio farlo ora che sono nel pieno delle forze e che mio padre si tenga la sua azienda!

A: Capisco che sei arrabbiato, chiunque lo sarebbe al posto tuo e so che ne hai parlato tante volte a tuo padre, ma sai che se ti fai liquidare metteresti potenzialmente in difficoltà la tua famiglia di origine vero? Possiedi una quota rilevante dell’impresa e se tu o qualcun altro della tua famiglia vendesse, vi trovereste in una situazione non semplice dal punto di vista della liquidità…

B: Mi possono dare un acconto perché devo investire nella nuova impresa e poi il resto in 3, o anche in 5 anni… non ho fretta!

A: Non è questo il punto. Il punto è che un’azione del genere metterebbe comunque a rischio l’impresa per il mondo in cui viviamo, così instabile, variabile, incerto. Di certo ne aumenterebbe in modo significativo i rischi. Soprattutto con le competenze manageriali ad oggi a disposizione dell’impresa…

La chiacchierata proseguì per tutta la mattinata ed i due si scambiarono diversi pareri.

A: Sai, io direi di non farci prendere dallo sgomento. Lo so che sei pressato da tanti anni e non ne puoi più ma dobbiamo procedere con metodo!

Cerchiamo di capire quelli che sono i bisogni di tuo padre: quali sono?

B: Uhm… restare in sella per sempre?!?

A: Dai su! Lui ha creato tanto, è vero che erano altri tempi e c’era bisogno di tutto, ma gliene va dato il merito. Quindi proviamo a elencare i bisogni di tuo padre mettendoci nei suoi panni:

  • Mantenere la famiglia unita
  • Preservare il capitale, il posizionamento, il valore dell’impresa
  • Dare un futuro alle generazioni che verranno: figli, pronipoti, ecc.
  • Mantenere la famiglia a capo dell’impresa anche se nella sua testa pensa: “chi meglio di me può gestire l’impresa?”.

Sei d’accordo con questi bisogni?

B: Beh si, ora che mi ci fai ragionare, effettivamente per lui è importante che tutto quello che ha avuto dalla vita, sia dal punto di vista famigliare che imprenditoriale, prosegua.

A: Sono dei bisogni normalissimi, sono i bisogni che ognuno di noi avrebbe se si trovasse nella sua stessa sedia. Ti dico di più: tuo padre pensa anche che nessuno sarebbe in grado di gestire l’impresa come lui e si batte il petto pensando, “perché mio figlio non è come me?!”, “Perché non la pensa come me?!”.

B: Ma scusa potrò avere una mia opinione o no? O devo pensarla come lui?!

A: Ma certo! Non ho detto che è ingiusto che voi la pensiate differentemente! Ognuno ha il proprio stile di leadership ed il proprio carattere ed è giusto che ci sia diversità. Sappiamo quanto la diversità porti ricchezza e sappiamo anche quanto valore aggiunto portino gli “Yes man” all’azienda…

B: Meno di zero.

A: Eeeesatto!! Ma torniamo a noi. Come fare per poter cambiare le cose? Prima di mostrarti il metodo dobbiamo aggiungere a questa conversazione due concetti importanti:

  • È difficilissimo cambiare senza un forte senso d’urgenza.
  • Per i motivi che abbiamo già detto, da questa situazione o ne uscite tutti assieme come famiglia oppure non ne uscirete bene.

Sei d’accordo?

B: Uff!! Si! …

A: Bene! Ti mostrerò un metodo ispirato da uno dei più grandi che ho potuto incrociare nel mio cammino. Il metodo è composto da 6 fasi sequenziali. Non è possibile proseguire con la fase successiva senza aver soddisfatto le condizioni di quella precedente.

1) Disaccordo sul problema (il problema non è percepito come tale, o non tocca l’altra parte)
Questo è il punto di partenza, se non c’è accordo sul problema da affrontare difficilmente potremo contare sulla partecipazione del nostro interlocutore. Un problema si manifesta sempre come una serie di effetti indesiderati che toccano diversi punti del sistema in questione.

Il motivo che spinge le persone ad essere in disaccordo con il problema centrale è spesso la scarsa conoscenza che esse hanno della realtà in cui operano. Spesso le persone non si basano sui fatti ma su delle deduzioni che nella loro realtà rappresentano come fatti.

Da qui quindi dobbiamo testare la logica di causalità per individuare la causa di fondo di tutti gli effetti indesiderati, ovvero il ”problema centrale”.

Così possiamo raggiungere il “consenso collettivo” delle persone coinvolte. È fondamentale che sia condiviso da tutti e chiaro qual è il problema su cui concentrarsi.

2) Disaccordo sulla direzione della soluzione
Una volta raggiunto l’accordo sul problema da affrontare, potrebbero esserci opinioni diverse circa la strada da intraprendere per risolverlo. La visualizzazione del problema sotto forma di conflitto guida l’identificazione dei modelli mentali sottostanti le due posizioni conflittuali. In altre parole noi siamo nel conflitto perché facciamo degli assunti sulla situazione in oggetto. Questi assunti sono il vincolo mentale al cambiamento: se riuscissimo a superarli crollerebbe il conflitto e di conseguenza il problema che esso rappresenta. Chiamiamo iniezione quell’idea che ancora non esiste, ma che se ci fosse porterebbe alla soluzione. L’iniezione elimina il problema centrale invalidando gli assunti a supporto della logica seguita, fornendo una direzione da seguire per giungere alla soluzione.

3) Disaccordo sul fatto che la soluzione risolva il problema
Dopo aver identificato ed essere tutti concordi sulla direzione da seguire, è necessaria una fase di verifica per assicurarsi che effettivamente la strada scelta sia quella giusta. Eravamo partiti dagli effetti indesiderati, ora dovremmo dimostrare che le iniezioni sono in grado di eliminarli tutti.

4) Convinzione che la soluzione porterà effetti Negativi
Una soluzione implica una transizione in uno stato di realtà differente in cui, auspicabilmente, il problema iniziale sarà risolto, ma la soluzione avrà portato anche qualche implicazione negativa. Se pensassimo ad una soluzione perfetta non saremmo realisti e finiremmo per subire le implicazioni negative.

5) Sollevare gli ostacoli che bloccano l’implementazione della soluzione
Dobbiamo quindi impegnarci ad individuare i potenziali impatti che la soluzione che abbiamo pensato possa portare e mettere in campo delle azioni per annullarli.

A questo punto si tratta di implementare la soluzione ormai chiara e condivisa da tutti. Le resistenze sono ora legate a problemi pratici quali tempo, soldi, risorse, ecc.

Sappiamo benissimo che la tendenza delle persone è di concentrarsi sull’aspetto negativo delle cose, su ciò che le ostacola in un percorso, per questo dobbiamo individuare quelli che sono i prerequisiti utili per implementare la soluzione, di fatto, stiamo costruendo il piano di implementazione della soluzione.

6) Timori non dichiarati
Dopo avere superato il punto precedente, non esistono ragioni valide per abbandonare l’idea del cambiamento. Si tratta soltanto di decidere come agire a partire dal giorno dopo: è necessario un piano d’azione che fornisca istruzioni chiare a tutte le persone coinvolte nel progetto.

Condiviso il metodo da percorrere, i due passarono settimane a mettere a punto i dettagli della loro idea di cambiamento. Che portò ad una soluzione specifica per la situazione e per i bisogni di tutti i principali attori coinvolti.

A: Allora sei contento?

B: Mai avrei pensato di arrivare a questa soluzione.

A: Perché? È semplicemente nella naturalità delle cose. Se vai a vedere gli appunti che abbiamo steso e esamini con attenzione i tuoi bisogni e quelli di tuo padre, puoi osservare che fare un percorso di qualche anno con te alla guida per irrobustire l’azienda organizzandola al meglio e poi iniziare il percorso di quotazione, intanto su mercati piccoli, è la soluzione migliore.

B: Propormi alla guida dell’azienda intraprendendo questo percorso permette di mantenerci nel capitale dell’impresa. Perché se oggi vale 100, quando andremo a quotarla varrà di più, e proprio con quel di più noi resteremo i principali azionisti. Questo ci darà la possibilità di mantenere la famiglia unita perché avremo un obiettivo comune: non solo preservare il capitale, migliorare il posizionamento e il valore di impresa, ma soprattutto dare un solido domani alle generazioni future. Sia dal punto di vista dell’azionariato, sia dal punto di vista della valorizzazione delle risorse del nostro territorio. Chi può fare questo se non noi?!

A: Davvero un ottimo ragionamento, proprio così! Passare da ‘io’ a ‘noi’ rende più forte l’impresa. Questo sarà il “do ut des” con tuo padre: la continuità a favore del soddisfacimento dei bisogni di tutte le principali persone coinvolte. Comprese le sue.

Bene! Andiamo o no a creare questo forte senso di urgenza?

B: Cosa intendi?

A: Ho una bella operazione di M&A da proporti…