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Verso un’impresa plastica: la cultura della duttilità

In scienza dei materiali, la resistenza meccanica indica il massimo sforzo che un corpo è in grado di sopportare prima di arrivare al “punto di rottura”.
Per piccoli allungamenti, per piccoli sforzi, il comportamento è elastico.
Significa che il materiale riesce a resistere alla tensione e tornare alla sua forma iniziale. Se però la sollecitazione supera una certa soglia (il limite di elasticità), l’oggetto non è più in grado di tornare alle proprie dimensioni originarie. Si rischia allora la rottura.
Non sempre però. Alcuni materiali sono in grado di sostenere carichi più rilevanti e sopportare gli sforzi molto più a lungo senza cedimento.
Come ci riescono? Assumono un comportamento plastico. Si deformano, si
adattano al nuovo stato di tensione. In una parola, diventano duttili.

Regione elastica e regione plastica (riadattamento da U. Amaldi, “Fisica per temi”, 1995, Zanichelli)

Dopo un lungo periodo di stress, sia esso dovuto a una trazione meccanica o a una crisi finanziaria o ancora pandemica, normalmente non si torna al punto zero. Non possiamo attendere, ancora e ancora, nella convinzione di un ritorno alla precedente normalità.
I mercati, i concorrenti, i clienti non sono più quelli che erano in precedenza. Il modo di lavorare, di fare business, il contesto esterno, mutano irreversibilmente.
Il 2020 ci ha mostrato quanto radicale e repentino può essere il cambiamento. Il 2021 spingerà le imprese virtuose a entrare nella cosiddetta “regione plastica”. Ossia ad acquisire sufficiente duttilità, tale da mitigare il rischio di rottura.
Dal punto di vista manageriale, possiamo dunque osservare due approcci, di fronte a una trasformazione così pervasiva e prolungata:
Difensivo/Elastico: mettere in atto azioni temporanee per affrontare la crisi. L’azienda mantiene il suo modello di business e modello operativo, cercando di preservare i fasti antichi. In questo caso l’obiettivo è quello di minimizzare le perdite. Il focus è sul passato, auspicando che ritorni il prima possibile, tale e quale a come ce lo ricordavamo.
Proattivo/Plastico: l’azienda si adatta a un cambiamento permanente. Diventa duttile. Ci si interroga su quello che sarà lo scenario competitivo post-crisi e quindi su quali nuove strade percorrere, per conseguire l’obiettivo strategico di fondo. L’azienda non solo si trova a ridisegnare il modello operativo, ma a modificare drasticamente la mentalità, l’organizzazione, il modus operandi. Il focus è sul futuro.

Tre sono i principali contesti aziendali in cui può emergere questo tipo di duttilità:

Cultura aziendale

La cultura aziendale può essere considerata come il significato condiviso dell’impresa stessa o, in altri termini, la sua personalità (Robbins & Judge, 2013). La cultura deve essere diffusa e condivisa a partire dall’ingresso del dipendente in azienda, fino ad arrivare alla cessazione del rapporto di lavoro; anche se spesso la cultura va oltre l’uscita del dipendente: basti pensare ai network di LinkedIn, ad esempio alle associazioni di Alumni, che pur essendo usciti dall’azienda, continuano a condividerne la cultura.
La costruzione di una Cultura Aziendale ha come conseguenza il rafforzamento di una percezione comune che quindi aiuta a sviluppare la “purpose” nelle persone. A partire dalla Cultura, ogni individuo deve aver ben
chiare quelle che sono la Visione aziendale e la sua Mission, e deve essere in grado, a seconda del proprio ruolo e livello di competenze, di declinarle in obiettivi personali e di conseguenza in azioni concrete.
Più forte è la cultura aziendale e meno l’azienda necessita di regole formali. Ogni persona comprende e interiorizza le linee guida e agisce secondo queste ultime in modo spontaneo, proattivo.

Organizzazione e processi interni

A livello organizzativo è importante agire su quelle che sono le limitazioni alla duttilità. La ricerca di specializzazione e focalizzazione sta portando a un irrigidimento dell’approccio lavorativo, che diventa un limite quando il contesto forza il cambiamento in maniera prolungata.
I processi interni devono essere pertanto flessibili, ossia in grado di essere modificati rapidamente in un’ottica non solo di efficienza, ma anche di efficacia. La risposta non è necessariamente la ricerca dell’iper formalizzazione che può creare rigidità.
L’approccio è quello della modularità (o “approccio Lego”), ossia quello di creare processi rapidamente modificabili per soddisfare nuovi segmenti di clientela, nuovi comportamenti di acquisto, sviluppare nuove linee di servizio, nuovi gusti del consumatore, ecc. Questo approccio, unitamente allo sviluppo della cultura aziendale, permette di superare la formalizzazione di procedure ed il micro-management, dando invece una risposta rapida agli impulsi esterni.
Dal punto di vista delle persone, l’approccio modulare necessita di rivedere i profili di competenza dei diversi ruoli. Non si tratta più di distinguere tra specialisti e generalisti, ma di unire “profili a T”*, che insieme vadano
a creare quello che possiamo idealmente rappresentare come il D.N.A. dell’azienda.

Un filamento di DNA: una lunghissima sequenza di “profili a T” uniti tra loro

Pianificazione e Controllo

Quale ruolo assume allora la pianificazione? Serve ancora? Possiamo accantonarla?
Il dibattito sull’importanza della pianificazione in contesti di estrema volatilità è quanto mai attuale.
La nostra visione è che gli strumenti di pianificazione (e controllo) “tradizionali” rimangono tutt’ora utilissimi, seppure con modalità e obiettivi diversi dal passato.
L’orizzonte temporale di pianificazione si sta progressivamente contraendo. Risultati e metriche che proiettavamo su base annuale, ora vengono ricalibrati mensilmente, o con cadenza ancora maggiore. Inoltre, abbiamo sperimentato in questi mesi come il contesto di difficoltà ci abbia portato ad accelerare esponenzialmente i cambiamenti organizzativi aziendali. Progetti per i quali erano stati pianificati mesi, se non addirittura anni di attività, sono stati portati (necessariamente) a termine nel giro di pochi giorni**.

Un eccesso di pianificazione diventa tuttavia un ostacolo al conseguimento effettivo dei risultati. Può comportare un rallentamento dell’attività esecutiva, causato dalla necessità di cercare ed organizzare le informazioni, redigere documenti, indire riunioni. Maggiore importanza sta assumendo quindi l’azione, la tattica rispetto alla strategia, la delega rispetto alle procedure. L’eventuale spazio “vuoto”, lasciato dalla mancanza di pianificazione strategica, viene colmato dalla cultura di fondo e dai valori condivisi.
Anche per quanto riguarda il controllo, la dimensione temporale si è esponenzialmente contratta, diventando sostanzialmente un processo a ciclo continuo di analisi, feedback e azione correttiva. È inoltre sempre più
imprescindibile andare oltre alla sola dimensione finanziaria, per arrivare a un monitoraggio di quei fattori che sono strettamente legati all’organizzazione, al contesto esterno e al livello di servizio. Sistemi di controllo “innovativi” come le Balanced Scorecard oppure gli OKR potranno sicuramente trovare nuova
applicazione e diffusione in azienda.
Abbiamo provato a declinare il concetto di “duttilità” d’impresa lungo tre dimensioni: cultura, processi e organizzazione, e pianificazione. In realtà, queste prospettive di analisi sono intrinsecamente connesse. L’approccio plastico di fronte al cambiamento trova la sua forza proprio nell’interazione tra loro. Una cultura aziendale condivisa abilita meccanismi informali di delega. Questi a loro volta evitano gli eccessi di pianificazione e l’irrigidirsi dei processi, portando l’impresa a far emergere in maniera proattiva soluzioni
nuove sul mercato. La cultura della duttilità è quindi anche una cultura dell’esplorazione: “Attraversare il fiume toccando i sassi”. Non solo resistere alla trazione, sperando che duri poco, ma spingersi verso di essa.

Autori:
Leonardo Boscardin, consulente in materia di strategia e finanza, Alumno CUOA (MBA International Part Time Program, 13ª ed.)
Pietro Strapazzon, sviluppo organizzativo e total reward, Alumno CUOA (MBA International Part Time Program, 13ª ed.)


* Un profilo può essere definito a “T” quando ha un buon livello di competenza in diversi ambiti, ma in uno in particolare può essere considerato l’esperto e quindi il punto di riferimento.
**McKinsey (2020), “How COVID-19 is redefining the next-normal operating model”.

Percorso consigliato:
MBA part time International Program >>