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Le “contraddizioni” del miglioramento continuo

a cura di Andrea Furlan *

cambiamento

Da sempre la cosa più difficile nelle organizzazioni di qualsiasi tipo e dimensione è cambiare. Cambiare l’organizzazione e le routine delle persone è sempre ostico perché incide sui comportamenti dei singoli in molti casi ossificati da abitudini a lungo sedimentate. Cambiare è difficile anche perché significa stravolgere gli equilibri “politici” di un gruppo che ha trovato un compromesso sugli standard di performance sostenibili.

Ogniqualvolta penso alla difficoltà di cambiare, mi viene in mente la massima di Albert Einstein…“insanity is making the same thing over and over again and expecting different results”. Ognuno può costatare la verità, al limite della banalità, di questa frase per poi accorgersi che molte imprese, anche in tempo di crisi, non cambiano. Al contrario preferiscono una rischiosa modalità  di “stand-by” quasi in attesa di tempi migliori. Frasi del tipo “è sempre stato fatto così…” oppure “è troppo complicato cambiare…” oppure “il capo ha deciso così…” uccidono ogni tentativo di cambiamento.

Oltre a queste imprese, tuttavia, ho spesso la fortuna di venire a contatto con realtà che cambiano continuamente le proprie routine e la propria organizzazione. Mi chiedo allora “Qual è il loro segreto?”

L’articolo di Hirotaka Takeuchi, Emi Osono e Norihiko Shimizu “The contradicitions that drive Toyota success” apparso in Harvard Business Review del Giugno 2008 dà degli interessanti spunti per provare ad abbozzare una risposta. Secondo gli autori le contraddizioni sono al centro della cultura del miglioramento continuo di Toyota. L’organizzazione crea contraddizioni e spinge i propri membri a risolverle per non arenarsi in processi e pratiche non più efficaci. La tensione generata in questo modo è fonte di innovazioni necessarie per stare un passo (o due) avanti ai concorrenti.

Toyota è piena di contraddizioni. La crescita stabile dell’azienda è unita alla paranoia del “mai essere soddisfatti” o del “ci deve essere un modo migliore”. La frugalità si coniuga con spese altissime in diversi ambiti come lo sviluppo delle risorse umane. La comunicazione è semplice, i meeting brevi guidati da formati standard eppure il network sociale è complesso e lega tutti membri. La struttura gerarchica è chiara ma i dipendenti hanno il diritto e il dovere di criticare il boss quando non sono d’accordo.

Alla base di queste contraddizioni ci sono forze che tengono viva la tensione al cambiamento. La visione irraggiungibile del “one piece flow-zero difetti-zero scorte” spinge l’impresa a cercare di migliorare continuamente le proprie routine operative. La cultura della sperimentazione basata sul metodo scientifico porta i dipendenti ad uscire dal territorio conosciuto per spingersi verso l’ignoto e l’incertezza tipici dei percorsi di cambiamento. L’obiettivo ultimo di lungo periodo viene scomposto in tanti sotto-obiettivi di più breve periodo. Applicando il PDCA si chiarisce lo status quo del problema, si definisce un target, si analizzano le cause che impediscono il raggiungimento del target, si sviluppano delle contromisure, si sperimentano le contromisure, si monitorano i risultati e, alla fine, si standardizzano i nuovi processi.

Le imprese che hanno il miglioramento continuo nel proprio DNA condividono con Toyota questi aspetti “soft”. Un’organizzazione e un management che generano tensione al cambiamento. Una comunicazione chiara, efficace e aperta che coinvolge tutti. Una gerarchia stretta, ma che tollera l’errore e la critica. L’attenzione al buon processo e non al buon risultato. Lo sviluppo di una serie di routine per risolvere le contraddizioni e i problemi. La domanda “c’è un modo migliore di fare questa cosa?” diventa, quindi, una costante nel modo di fare impresa a qualsiasi livello.

Tutto questo non è semplice e richiede convinzione, impegno, tempo e risorse. Una sfida difficile ma, dato i tempi in cui viviamo, inevitabile…

 * Referente scientifico CUOA Lean CLUB

3 Commenti

  • Innanzittutto un saluto all’amico Andrea Furlan,
    il cambiamento ci deve sempre essere, la cosa più difficile è cambiare se stessi per cambiare gli altri.
    Molte aziende, soprattutto le realtà del nord-est ed in particolare le venete sono gestite a livello familiare e non sono aperte al management.
    Alcune aziende non riescono a cambiare produzioni e/o metodo di lavoro rimanendo legate a schemi aziendali che hanno funzionato per un lungo periodo, ma rischiano di trovarsi fuori mercato. Cambiare si deve, ma con cognizione di causa. Il cambiamento inoltre deve essere ben ponderato e le aziende devono dare la giusta comunicazione relativa ai loro prodotti, altrimenti rischiano di non valorizzarli.
    Nel mercato attuale e soprattutto in quello futuro, le aziende oltre a muoversi in ambiente prodotto devono concentrare e dare il giusto peso al capitale umano, il quale dovrà sempre aggiornarsi e modificarsi.

    Un cordiale saluto.

  • Concordo pienamente con Paolo sul fatto che molti imprenditori non riescano a cambiare e non cerchino neppure la ricetta per cambiare.
    Fatta questa premessa, la mia riflessione vuole essere su quella parte del tessuto imprenditoriale che ha smesso di chiedersi “devo cambiare o no?” e che ha già trovato nel lean una delle ricette per il cambiamento.
    Questo articolo può fornire un utile esercizio a disposizione degli imprenditori e del management per capire come trasformare gli aspetti “soft” del lean in qualcosa di concreto.
    Di solito, la via più semplice per (iniziare a) fare lean è emulare Toyota. Copiare le sue famose pratiche – e quindi imparare il lean facendolo (o meglio detto learning by doing) – è forse la formula che si coniuga meglio con un sistema imprenditoriale come il nostro, sviluppatosi grazie alla pragmaticità e laboriosità degli imprenditori. Il fatto che le contraddizioni siano alla base del successo di Toyota non rappresenta quindi solo l’aspirazione verso una certa cultura organizzativa – aspetto soft – ma può diventare una pratica del “guardare come di solito si fa una certa cosa e capire come creare contraddizioni per farla” da esercitare (e quindi learning by doing) a tutti i livelli aziendali. Se non altro, un esercizio divertente per alimentare un pensiero critico e sperimentare cose nuove continuamente

  • Buongiorno Andrea,
    negli ultimi tre anni ho ricoperto le mansioni di responsabile di stabilimento presso una azienda alimentare di medie dimensioni veneta. Il problema principale che ho dovuto affrontare nel coordinare 28 persone divise in tre turni che lavorano 24 ore su 24 è stato appunto il cambiamento di routine considerate come dogmi immutabili, per fare ciò ho sperimentato varie soluzioni tra cui quelle proposte nell’articolo ma l’unica soluzione che ha dato degli ottimi risultati è stata questa: durante i periodi di produzione più bassa ho deliberatamente ridotto il numero di persone addette alla produzione cercando nel contempo di guidare gli operatori a pensare e poi mettere in pratica nuove soluzioni più efficienti, una volta trovate queste soluzioni sono state schematizzate in procedure e applicate nei periodi di produzione più alta.
    Questo metodo è stato a dir poco traumatico per tutti gli operatori la cui anzianità aziendale è superiore ai 7 anni, ha creato forti tensionitra tra gli operatori e me ma ha portato una forte riduzione dei fermi macchina dovuti a errori da parte degli operatori e un consistente aumento della velocità nell’eseguire i cambi formati.