General Management

Attività di gestione del personale: tra il dire e il fare…

A cura di Martina Gianecchini*

Accade talvolta che attività di gestione del personale ottimamente progettate “sulla carta” non generino i risultati attesi dalla Direzione Risorse Umane (HR) e dal top management. Nella ricerca delle cause spesso ci si concentra sugli aspetti “tecnici” dell’attività: un metodo didattico non adeguato, una scheda di valutazione non chiara, una mappatura delle competenze non efficace.

Ma sta veramente lì il problema? Gli studiosi che si sono occupati di capire come le attività di gestione delle risorse umane si traducono in performance aziendali (la letteratura di Strategic Human Resource Management) suggeriscono di effettuare un’analisi più articolata in cui si identificano quattro passaggi critici in sequenza tra loro.

1) L’implementazione dell’attività. In questa fase la Direzione HR si trova a fare i conti con vincoli di bilancio che possono comportare adeguamenti rispetto al progetto iniziale, processi già in uso che vengono sostituiti dalla nuova attività e che devono essere dismessi in tutto o in parte, resistenze degli individui (ad esempio, i manager di linea) che devono concretamente implementare i nuovi strumenti.

2) La comunicazione dell’attività. Il secondo passaggio critico riguarda la percezione, da parte dei collaboratori dell’azienda, dell’attività implementata. A questo livello entra in gioco la capacità della Direzione HR di comunicare in maniera chiara, credibile e pervasiva. Alcune domande chiave: le attività HR sono conosciute da tutti i collaboratori aziendali? Le comunicazioni che le riguardano – anche se provengono da fonti diverse (ad esempio, manager di linea, proprietà aziendale, Direzione HR) – sono coerenti tra loro? I collaboratori hanno chiari i motivi per cui le attività vengono realizzate e quali sono i risultati attesi?

3) Le reazioni dei collaboratori. Il terzo passaggio chiave riguarda le reazioni dei collaboratori all’attività comunicata, che possono essere distinte in: affettive (soddisfazione per il lavoro svolto e commitment organizzativo), cognitive (un miglioramento delle abilità e delle conoscenze rilevanti per il ruolo), comportamentali (svolgimento dei compiti previsti dalla mansione, assenteismo, turnover, comportamenti discrezionali non prescritti, ma che vanno a beneficio dell’organizzazione). Queste non dipendono solamente dalle percezioni, ma anche da attitudini e motivazioni, ossia caratteristiche individuali che spingono le persone a reagire in modi differenti alle situazioni.

4) L’organizzazione e il coordinamento. L’ultimo passaggio chiave riguarda la traduzione dei comportamenti individuali in performance organizzative. A questo livello, giocano un ruolo chiave i seguenti fattori: le dinamiche di lavoro all’interno dei gruppi, che possono supportare oppure ridurre gli effetti dell’attività HR (si pensi ad esempio alla possibilità di applicare le conoscenze apprese durante un corso di formazione all’interno del proprio team); i processi di lavoro e le risorse a disposizione dei collaboratori; le regole non scritte della cultura organizzativa; i rapporti gerarchici e lo stile di leadership.

*Docente JobLeader Human Resources Management CUOA