General Management

Smart working: il punto di vista dei figli

di Martina Gianecchini*

Nel corso dell’anno appena concluso si è molto parlato della possibilità, per le imprese, di permettere ai loro collaboratori di usufruire di forme di flessibilità nell’organizzazione del proprio lavoro riconducibili allo “smart working”. Con questo termine (talvolta sostituito da una traduzione non letterale, ma evocativa dei suoi contenuti, e cioè “lavoro agile”) si intende la possibilità per il lavoratore di svolgere le proprie attività non solo presso i locali dell’azienda ma anche in altri luoghi, come ad esempio la propria abitazione. È proprio quest’ultima, infatti, la forma che ha assunto nella maggior parte dei casi lo smart working: permettere ai collaboratori di lavorare da casa uno o più giorni alla settimana. Tutte le indagini che si occupano di queste iniziative sono concordi nell’individuare un miglior equilibrio tra vita privata e professionale tra i benefici dello smart working: in altri termini, operando da casa i lavoratori, in particolare le donne, riuscirebbero a dedicare maggiore tempo alla famiglia e ai figli.

Ma siamo sicuri che un genitore presente a casa, ma impegnato nello svolgimento del proprio lavoro, sia “desiderabile” agli occhi dei figli? È proprio questa la domanda cui abbiamo cercato di rispondere con un’indagine compiuta da un gruppo di ricerca del Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali “M. Fanno” dell’Università degli Studi di Padova, intervistando un gruppo di bambini tra i 7 e i 13 anni. I partecipanti sono figli di professionisti (avvocati, architetti, commercialisti), cioè lavoratori che hanno la possibilità di gestire in autonomia i tempi e i luoghi della propria attività. La letteratura che si confronta con il tema del work-family conflict, cioè la difficoltà per gli individui di gestire le responsabilità derivanti dal ricoprire simultaneamente il ruolo di lavoratori e membri di un nucleo familiare (es. padre, madre), suggerisce strategie opposte. Da un lato, vi è la possibilità di mantenere i due domini, lavoro e famiglia, il più possibile separati e distinti: in questo modo l’individuo concentra le proprie forze ed energie mentali nel luogo nel quale si trova, evitando di portare a casa (o viceversa sul lavoro) problemi, pressioni e situazioni di stress. Dall’altro lato, invece, teorie più recenti suggeriscono i vantaggi derivanti da un’interazione tra lavoro e famiglia: non solo, infatti, successi nel lavoro possono rendere l’individuo più sereno nella propria vita (e viceversa), ma anche risorse e relazioni acquisite in un ambito possono essere utili nell’altro e, inoltre, una persona potrebbe trovare temporaneo sollievo a preoccupazioni sorte sul lavoro nel caso abbia una vita familiare soddisfacente (e viceversa).

Nel caso della nostra ricerca, le interviste compiute dalla dott.ssa Nicole Sartori hanno dimostrato come i genitori maschi tendano ad adottare una strategia di separazione, mentre le donne abbiano comportamenti che mescolano i due domini. Questo appare evidente nella gestione del tempo: mentre i padri separano chiaramente il tempo dedicato alla famiglia (generalmente la sera e i fine settimana) da quello lavorativo, molte madri lavorano da casa almeno mezza giornata. In linea con quanto si sente spesso affermare, che conta di più la qualità del tempo passato con i figli rispetto alla quantità, le affermazioni dei bambini hanno mostrato come fosse per loro preferibile avere – anche per poco tempo – un genitore attivo e dedicato (quindi pronto e disponibile a giocare e a dedicare loro attenzione), rispetto a un genitore presente, ma distratto da impegni lavorativi.

I risultati della ricerca aprono alcune riflessioni sulle conseguenze “impreviste” dello smart working. Queste non riguardano solamente la sfera della vita familiare, ma anche l’ambito lavorativo. Si pensi innanzitutto alla gestione delle relazioni interpersonali nel caso dei lavoratori “agili”: come coinvolgere i lavoratori nei processi e nelle comunicazioni informali quando lavorano da remoto? E di conseguenza, l’organizzazione sarà costretta ad aumentare il livello di codificazione dei processi se non vuole isolare gli smart workers? In secondo luogo, come identificare le modalità attraverso cui lo smart working impatta sui lavoratori? In altri termini, una eventuale maggiore produttività dei lavoratori che godono di questa opportunità, sarà dovuta alla possibilità di lavorare con una diversa organizzazione del lavoro, al differente contesto di lavoro, oppure alla maggiore motivazione generata dalla gestione autonoma dei tempi? Queste ed altre domande devono essere monitorare con attenzione delle aziende.

* Professore Associato di Gestione delle Risorse Umane all’Università degli Studi di Padova
e referente scientifico dell’Executive Master in Human Resource Management – CUOA Business School.