Finanza d'Impresa ICT Management

Blockchain e Digital Technology: l’imperativo tecnologico per la banca e la finanza

di Gian Paolo Zini*

Blockchain e tecnologie digitali non possono più essere intese esclusivamente come strumenti utili al trading delle criptovalute (e quindi rapportate al correlato scetticismo), o a collezionare dati e gestire database (Big Data, Cloud storage, Inter-organizational data management, ecc.).

L’utilizzo delle tecnologie digitali é unanimemente e definitivamente emerso come un “imperativo tecnologico

capace di offrire benefici di lungo termine per un ampio spettro di settori industriali, di funzioni e applicazioni aziendali (Internet-of-Things – IoT-; Manufacturing & Automation; Supply-Chain e Procurement; Logistics & Distributions; Merchandising Inventory, Product Safety & Recall; ecc.), per i consumatori (Smart-Retail; Post-mobile Platforms e Smart Assistants; Mobility & Transportation; Tourism), per la società (Sostenibilità, Ambiente ed Economia Circolare; Energy Management; Smart-Cities e Rigenerazione Urbana), per giustizia e law enforcement, per la pubblica amministrazione (“Reg-Tech”  e “Gov-Tech”, ecc.).

Ma soprattutto é in relazione all’industria bancaria e finanziaria che abbiamo assistito ad una proliferazione di innovazioni tecnologiche digitali, e in particolare le cosìdette Distributed Ledger Technologies (o DLT), che  palesano una potenziale trasformazione dell’ecosistema e dell’operatività di riferimento; e ciò in tempi rapidi, che dettano quindi l’esigenza, per gli operatori tradizionali di un coinvolgimento diretto, tramite la creazione di una funzione di innovation banking, ovvero tramite investimenti e/o co-investimenti, tramite partnerships tecnologiche o, semplicemente, tramite il licensing di tecnologie o l’acquisizione di nuovi servizi. 

Ancora, non parliamo qui di Bitcoin, ma ci riferiamo a campi di applicazione e possibilità di sviluppo che coprono un amplissimo spettro dei servizi e dei prodotti riferibili alle funzioni tipiche del Banking (Consumer Banking; Commercial Banking; Instant Banking; Mortgage Lending; Digitalization and Financing/Underwriting Platforms) e Investment Banking (Private Banking; Investment & Wealth Management; Investment Platforms), dei Capital Markets (Brokerage Services, Sales & Trading; Pension Funds e P.E./V.C. Fund Management & Operation; ecc.), del Payments Ecosystem (Fund Transfers & Payments Processing; Digita Bill Collection; International Money Transfers; Tracking Softwares; ecc.), del Services & Compliance (Analytics Tools; Infrastructure Tools;  Regulatory Compliance Softwares for Banking & Financial Institutions) e infine del Comparto Assicurativo (Insurance (life e non-life) & Reinsurance).

Si stima che solo strumenti DLTs  abbiano la potenzialità di produrre risparmi annui per l’industria finanziaria nell’ordine di $50 miliardi, quanto ad ottimizzazione di efficienza operativa e di regulatory compliance. Tutto ciò sta portando al concetto di ‘Banking-as-a-Service’, attraverso la nascita di un nuovo ‘digital-only banking space’ e l’affermazione delle c.d. ‘Neobanks’, soppiantando, o quanto meno minacciando la banking structure tradizionale ed il costoso network di filiali sul territorio che ha da sempre definito la filiera del retail banking nel mondo.

Tutto ciò, oltre ad imporre l’esigenza di una tempestiva e prioritaria attenzione a tale processo tecnologico e di innovazione che solo nel 2018 ha visto apparentemente registrare una crescita di progetti pari al 76% rispetto all’anno precedente (soprattutto, appunto, grazie al settore finanziario, che da solo conta sul 48% dei progetti di blockchain), impone non solo una svolta culturale e la convinta acquisizione di tale processo di trasformazione, ma anche un impegno effettivo.

Un impegno che consenta di andare oltre semplici manifestazioni di interesse, o peggio ancora dalla percezione del fenomeno come una moda del momento, dalla condivisione di un ‘trendy topic’ per soli eventi e pubblicazioni, dal semplice e vuoto utilizzo di una ‘buzzword’ da aggiungere al nostro vocabolario, per passare concretamente all’azione, rifuggendo ancora una volta lo stereotipo di un paese, di un ecosistema Italia, che troppo spesso si trova a rincorrere il resto del mondo occidentale, e sollecitando un pronto aggiornamento delle norme e dei regolamenti di settore. Si impone una operatività, e per quanto necessario, una nuova e competente formazione, orientata ad efficienza, innovazione e scalabilità (riconoscendo che tali innovazioni tecnologiche non sono in antitesi con la ratio del framework normativo diretto alla tutela dei mercati, dei risparmiatori e degli investitori).

Non si tratta certo, pertanto, di una nuova moda o di una bolla speculative, ma di tangibili e ineludibili processi di innovazione che la banca e la finanza italiana non possono ignorare. E, volendo condividere tale paradigma non possiamo prescindere da una adeguata asset allocation, da investimenti necessari allo sviluppo di tale settore.
E in tal senso, l’esperienza statunitense può fornire spunti e temi di riflessione significativi, che qui abbiamo voluto enunciare in estrema sintesi.
Con una concentrazione prevalente di progetti blockchain in Asia (32%) Europa (27%) e America (22%), con gli Stati Uniti alla guida di questa innovazione tecnologica (14%), seguiti da Giappone (7%), Cina (7%), Gran Bretagna (4%) e Corea del Sud, (4%), l’Italia è solo al terzo posto in Europa con 19 progetti dopo Gran Bretagna e Germania, con una incidenza, purtroppo, davvero marginale. E deve oltremodo sottolinearsi, peraltro, l’equivoco, o l’inadeguatezza di una analisi che misuri la portata del fenomeno esclusivamente in base al numero dei progetti, rispetto all’impiego di risorse finanziarie e di investimento, ed all’utilizzo pratico di dette nuove tecnologie nell’ecosistema di ciascun paese, criteri per i quali gli Stati Uniti si presentano ancora in posizione di netta leadership, non solo sotto un profilo di dimensioni di capitali di investimento, ma anche per la rapidità di una asset reallocation verso, appunto il segmento delle digital tecnologie per banca e finanza.

Al riguardo, vediamo non soltanto la finanza (intesa come strategie di venture capital industry e dell’ecosistema di accelerazione ed incubazione dedicato al fenomeno delle start-up) concentrarsi in tale direzione, ma anche sempre più banche statunitensi supportare lo sviluppo di units dedicate ad ‘innovation banking’ (ricerca e sviluppo, supporto di startups, tech-scouting, tech-matching e licensing di tecnologie e servizi da parte di soggetti terzi), con un vero e proprio impiego di capitali in seed e scaleup investments ed M&A activity verso imprese del settore Fintech che hanno già raggiunto dimensioni significative.

In conclusione, deve sottolinearsi anche come il fenomeno non possa prescindere da un tempestivo adeguamento delle normative esistenti, per rimuovere le difficoltà non solo organizzative ma anche, appunto, sistemiche. Ancora, l’innovazione del diritto arranca dietro la tecnologia. L’ovvio timore del legislatore e delle autorità di mercato certo si colloca nel filone delle qualificazione dei soggetti e degli strumenti a tutela del mercato. Ma certo si è potuto constatare che un pesante sistema autorizzativo non garantisce, comunque, di prevenire fattispecie e condotte illecite, o ad assicurare la protezione del consumatore di servizi finanziari, o dell’investitore. Al contrario, lo strumento tecnologico può essere proprio l’elemento che consenta non solo efficienza ma anche di contenere margini di illiceità, offrendo certezza che il fattore umano non può più offrire.

 Ma ciò indubbiamente richiede, anche da parte del legislatore, una comprensione avanzata delle tecnologie blockchain appartenenti alla categoria delle Distributed Ledger Technologies (o DLT), e in particolare le catene di blocchi di seconda generazione, che hanno anche introdotto la funzione chiamata “smart contracts” – un codice software memorizzato nella blockchain che esegue le transazioni, in modo automatico, solo quando vengono soddisfatte determinate condizioni. La intrinseca connotazione  di tecnologie strutturate come una catena di blocchi contenenti le transazioni e la cui validazione affidata a un meccanismo di consenso distribuito su tutti i nodi della rete, ossia su tutti i nodi che sono autorizzati a partecipare al processo di validazione delle transazioni da includere nel registro, ed assicurare tracciabilità, e sicurezza delle transazioni basate su tecniche crittografiche, basate su un sistema di verifica decentralizzato, dovrebbe, di per se, offrire garanzie alla normazione in ambito bancario e finanziario.

Le principali caratteristiche delle tecnologie blockchain, appartenenti alla categoria delle Distributed Ledger Technologies (o DLT), possono essere definite come un insieme di sistemi concettualmente caratterizzati dal fatto di fare riferimento, attraverso l’utilizzo di algoritmi crittografici, a un registro distribuito (ovvero senza un “sistema o organizzazione” centrale di validazione), governato in modo da consentire l’accesso e la possibilità di effettuare modifiche da parte di più nodi di una rete e altresì gestendo le transazioni all’interno di una catena di blocchi. Qualunque transazione, ovvero i dati che la rappresentano, è sottoposta ad un meccanismo di firma a doppia chiave asimmetrica che, pur non dotata di certificati rilasciati da certificatori accreditati. La blockchain é quindi per sua natura “trustless”, in altri termini non c’è bisogno di una terza parte intermediaria, come banca o società finanziaria, per trasferire beni da una parte ad un’altra, prevedendosi appunto il superamento di organismi certificatori centralizzati. Le DLT prevedono l’utilizzo di algoritmi crittografici che abilitano l’utente all’utilizzo del sistema mettendogli a disposizione una chiave pubblica ed una privata che viene usata per sottoscrivere le transazioni o per attivare gli smart contract o altri servizi collegati alla blockchain.

*CEO di C&Z GLOBAL Advisors (Salt Lake City, Utah, USA).  Già Docente di Global Corporate Finance presso il Department of Finance della David Eccles School of Business alla University of Utah e di Sustainability Strategies presso la Bill and Vieve Gore School of Business del Westminster College.