General Management Imprenditorialità e Governance

Piuttosto di niente, è meglio piuttosto

Paolo Gubitta *

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A leggere Marco Magnani, l’economista italiano che ad Harvard dirige il progetto «Italy 2030» (1), anche se riusciremo nella titanica impresa di realizzare presto e bene le riforme necessarie per rimettere in moto la società e l’economia del nostro Paese, ci aspettano alcuni anni di vacche sobrie. Questa prospettiva farà tirare un sospiro di sollievo a tutti quelli che negli ultimi tempi hanno stretto la cinghia fino all’inverosimile per stare sul mercato e li porterà a dire che «piuttosto di niente, è meglio piuttosto»: stante l’impossibilità di tornare alle vacche grasse è meglio averle sobrie invece che magre (2).

Con la ricerca di Marco Magnani riusciamo a capire come potrebbero andare le cose da oggi al 2020, ma le sue analisi si fermano alla porta delle imprese. Provo io ad aprire queste porte, con l’intento di evidenziare sia l’impatto che tale scenario avrà sulle decisioni aziendali, sia cosa dovrebbero fare imprenditori e manager per prosperare anche in tempi di vacche sobrie.

Sobrietà vuol dire senso della misura: in altre parole, accontentarsi di quello che c’è. Nelle imprese ciò significa darsi l’obiettivo di valorizzare tutti i propri asset e andare alla ricerca degli eventuali asset nascosti, cioè di quelle risorse che pur avendo un valore non sono state mai pienamente stimate, comprese e tradotte in strategia. Non si tratta di individuare le risorse e competenze distintive: le aziende che hanno superato la crisi lo hanno già fatto e le hanno già sfruttate (altrimenti avrebbero già portato i libri in tribunale). L’operazione è più complessa e comporta un significativo sforzo creativo, perché si deve trasformare in occasione per far business qualcosa che possediamo (un bene, una conoscenza, una competenza) e che non abbiamo mai considerato veramente utile perché non ce n’è mai stato bisogno (le cosiddette “risorse in eccesso” della gap analysis) (3).

Sobrietà vuol dire assenza di ridondanza: come si usa scrivere nelle ricette di cucina, le risorse sono allocate con la regola del “quanto basta” e nulla di più. In termini gestionali, questo vuol dire che non è più sufficiente elaborare una buona strategia. Bisogna dotare la propria impresa di un efficace business model, cioè mettere in fila una serie di decisioni (di prodotto, commerciali, finanziarie e così via) per creare il massimo valore all’interno del value network (fornitori, partner, canali distributivi ecc.) e per fare in modo che ad appropriarsene siano in prevalenza le imprese del medesimo network (che non è affetto scontato, come ben sanno le realtà che lavorano come subfornitori) (4). Inoltre, proprio perché la disponibilità di risorse si limita al “quanto basta”, serve un sistema di controllo direzionale in grado di monitorare con immediatezza e precisione le performance dell’impresa, al fine di correggere il tiro prima che sia troppo tardi (5).

Una conseguenza indiretta della sobrietà che caratterizzerà i prossimi anni, è una maggiore propensione alle alleanze tra imprese, spinte a mettere insieme idee, risorse, competenze e asset nascosti (e recentemente ri-scoperti) per ripristinare quelle condizioni di ridondanza, senza le quali non si possono avviare virtuosi progetti di innovazione. Qui si apre il tema emergente della collaborative entrepreneurship, su cui ci sarà molto da discutere nei prossimi anni (6).

  (1) Marco Magnani è l’autore del libro “Sette anni di vacche sobrie” (UTET, 2013), che sara presentato al CUOA venerdì 4 aprile alle 17.30, e discusso da me e da Elena Zambon (Presidente AIDAF e Presidente Zambon), insieme al giornalista Angelo Ciancarella.

(2) Per la verità, ci sono anche imprese che sono riuscite a crescere nonostante gli anni bui della crisi. Le abbiamo studiate in due ricerche: la prima si è focalizzata sulle imprese quasi-medie del Made in Italy ed è stata pubblicata nel libro di Gubitta, Tognazzo e Favaron, “Lepri che vincono la crisi” (Marsilio/Nordesteuropa, 2013); la seconda, condotta con Alberto Lanzavecchia, Sara Strada e Stefania Arrigoni, ha individuato le imprese venete che tra il 2008 e il 2012 hanno sistematicamente e contemporaneamente migliorato sette indicatori di crescita, redditività e finanza, ed è di prossima pubblicazione (i primi risultati “I 168 campioni dell’industria veneta” sono scaricabili dal sito: http://www.comlegal.eu/)

(3) Zook C., “Le inarrestabili. Scoprire gli asset nascosti per incrementare la crescita delle imprese”, Etas, 2007. Nel libro di Magnani, questo tema è sviluppato nel secondo capitolo (Lo sviluppo a chilometro zero), in cui si descrivono gli eclatanti casi di riscoperta degli asset nascosti nelle città di Torino, Ragusa, Pittsburgh e in Olanda.

(4) Con riferimento alle imprese quasi-medie del Made in Italy, il quinto capitolo del citato libro “Lepri che vincono la crisi” descrive i business model di tre storie di successo.

(5) Kaplan R., Norton D., “Execution Premium. Applicare la strategia per il vantaggio competitivo”, Etas, 2009

(6) Al tema della collaborative entrepreneurship sarà dedicato il seminario in programma al CUOA sabato 10 maggio 2014, in cui saranno anche presentati e discussi i casi PRIIAM e Kogit.

 * Direttore scientifico MBA Imprenditori CUOA e docente Università degli Studi di Padova