Imprenditorialità e Governance

Che Italia sarebbe senza imprese familiari

a cura di Paolo Gubitta *

Siamo ancora in tanti a ricordare lo spot «Che mondo sarebbe senza Nutella!». Forse siamo un po’ meno quelli che hanno anche letto l’esilarante pamphlet di Riccardo Cassini, «Nutella Nutellae» [1], che in latino maccheronico narra quelle epiche vicende familiari attorno a un barattolo di Nutella che ciascuno di noi ha vissuto durante l’infanzia e l’adolescenza. Nessuno è così sprovveduto da ignorare le controindicazioni che derivano dal consumo eccessivo di Nutella, ma siamo tutti d’accordo nel riconoscere che siamo di fronte a un prodotto che rappresenta un’icona della Ferrero e del Made in Italy, che viene venduta in 75 Paesi e che lo scorso maggio ha festeggiato 50 anni dal giorno del primo barattolo.

La (giustamente) benevola considerazione riconosciuta alla Nutella è l’esatto contrario del tono polemico, a volte (ingiustamente) astioso, con il quale vengono trattate le imprese a proprietà familiare.

«Che Italia sarebbe senza imprese familiari?» è la domanda a cui si dovrebbe rispondere per fare un po’ di ordine nel variegato mondo delle imprese a proprietà familiare. E, invece, negli ultimi tempi non si perde occasione per attaccare il capitalismo familiare, reo di aver tirato i remi in barca e di cedere il controllo delle proprie imprese agli investitori stranieri. A volte, i critici colgono nel segno, perché abbiamo avuto vari esempi di capitalismo familiare di stampo feudale, che hanno razziato tutto il possibile lasciandoci solo ferite che non sarà facile rimarginare. Ma in generale, a me pare che le imprese a proprietà familiare non meritino questo trattamento.

Se pensiamo alla cosiddetta Terza Italia, quella a cui appartengono anche le Venezie, il capitalismo familiare diffuso è stata una fortuna: piaccia o no, la miriade di piccole imprese operose che hanno popolato quest’area dell’Italia sono state il motore del progresso economico e sociale. La capacità di creare prodotti, l’audacia nella ricerca di nuovi mercati e la disponibilità ad assumersi rischi sono stati i principali ingredienti del loro successo.

Le imprese familiari gestite “alla garibaldina” sono ormai un ricordo del passato o vittime della recente crisi, buone solo per una mostra vintage sul “come eravamo”. Tutte quelle che continuano ad esistere e prosperare hanno saputo adattarsi alle esigenze dello scenario competitivo contemporaneo [2].

I proprietari di queste imprese non si sono limitati a introdurre cambiamenti nella strategia, nella struttura e nella gestione (gli arcinoti temi della delega, della governance, della managerializzazione), ma hanno realizzato una più ampia trasformazione: da imprese familiari a famiglie imprenditoriali.

Questo passaggio cambia la prospettiva per relazionarsi con tali realtà, soprattutto per quanto riguarda gli strumenti per elaborare i progetti strategici della famiglia imprenditoriale: dalle questioni patrimoniali a quelle di governance; dalle tematiche finanziarie al piano degli investimenti; dalle dinamiche familiari allo sviluppo delle competenze imprenditoriali [3].

[1] Io, ovviamente, l’ho letto e lo consiglio ai curiosi (e golosi): è facilmente reperibile in rete con download gratuito.

[2] Per completezza, bisognerebbe anche parlare della nuova imprenditorialità ad elevato contenuto di innovazione (scientifica, tecnologica, organizzativa, estetica, sociale) e di conoscenza, che apre il tema degli assetti istituzionali e delle forme tecniche per il finanziamento delle idee imprenditoriali. Questo tema, tuttavia, esula dagli scopi di questo post.

[3] Su questi temi, il prossimo 3 ottobre 2014 prenderà avvio un progetto specifico dell’Area Imprenditorialità del CUOA, che si svilupperà attraverso una serie di seminari dedicati alle famiglie imprenditoriali, per supportarle nello sviluppo di progetti strategici. Per informazioni: imprenditori@cuoa.it.

* Direttore scientifico MBA Imprenditori CUOA e docente Università degli Studi di Padova