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Il tempo del leader

a cura di Francesca Chiara e Maddalena Soro*

In una recente giornata di formazione outdoor, dedicata al team building e rivolta a un gruppo di project manager di differenti realtà aziendali, una partecipante ha sollevato un interrogativo sullo “spazio” che il tema della leadership occupa frequentemente quando si parla di gruppo. Relativamente allo specifico contesto in cui è nato questo quesito, vale a dire quello del ruolo del project manager, risulta piuttosto agevole prefigurare una risposta: trattandosi di un ruolo coinvolto in responsabilità trasversali alle diverse funzioni o aree di business aziendali e senza la possibilità di esercitare autorità, non prevista dalla sua posizione organizzativa, è indispensabile prefigurare per il PM uno spazio di azione per altre leve di influenza/potere di natura non gerarchica. Risulta, però, interessante estendere la riflessione al più ampio contesto aziendale, nel quale si riscontra in misura significativa l’interesse per il tema della leadership.
Lungi dalla possibilità di dare, attraverso questo contributo, una risposta esaustiva al perché la leadership sia così significativa nelle dinamiche aziendali, può risultare interessante esplorare questo interrogativo, tenendo conto che la risposta trova radici in aspetti strutturali, vale a dire impliciti alla natura stessa del gruppo, e in aspetti contingenti, legati alla specificità delle condizioni ambientali in cui le imprese si trovano ad operare.
Con riferimento al primo aspetto, quello strutturale, è bene tener conto che, osservando un qualsiasi gruppo in azione, uno dei primi elementi che è possibile notare è il fatto che i diversi membri che lo compongono “non sembrano avere tutti la medesima importanza e centralità” (Speltini, Palmonari, 1998). Questo processo di definizione e strutturazione di un sistema di status nel gruppo avviene molto rapidamente, già nelle prime fasi di costituzione del gruppo stesso, attraverso il riconoscimento di alcuni comportamenti che vengono manifestati dai diversi membri nel corso dell’interazione. Le due principali correnti di pensiero che spiegano tale fenomeno, quella etologica e quella sugli stati di aspettativa, pur presentando posizioni diverse sulle modalità con cui questo si realizza, convergono sulla natura funzionale del processo di differenziazione di status: esso crea ordine e prevedibilità all’interno del gruppo, favorisce il coordinamento per il raggiungimento degli obiettivi comuni e contribuisce all’autodefinizione dei membri del gruppo. Considerando il fatto che tutti i diversi modelli teorici dedicati al processo di sviluppo del gruppo sottolineano, seppure in modo distinto, che nelle fasi iniziali di costituzione esso si trova inevitabilmente ad affrontare delle difficili fasi di integrazione, propedeutiche ad un successivo stadio di azione efficace, in cui i membri sono effettivamente centrati sull’obiettivo da raggiungere, appare evidente che coloro che parlano maggiormente, assumono delle iniziative, si dimostrano proattivi, manifestano dei comportamenti utili alla maturazione del gruppo e, in virtù della loro funzionalità, portano alla strutturazione di uno status più elevato, che possiamo definire leadership. Combinando queste riflessioni con i presupposti dell’approccio situazionista alla leadership, così come dei modelli della contingenza, è possibile sostenere che la leadership si afferma nell’ambito del gruppo nel momento in cui uno dei suoi membri manifesta la capacità di far fronte alle esigenze specifiche avanzate dal gruppo stesso.
Se, quindi, in termini di psicologia sociale, il binomio gruppo-leader appare quasi inscindibile, con riferimento all’ambito organizzativo è possibile identificare alcuni aspetti, qui definiti contingenti, in grado di spiegare il considerevole spazio riservato al tema della leadership.
I mutamenti economico-sociali caratterizzanti l’età post industriale hanno prodotto significative modificazioni sulle strategie e sulle strutture organizzative. Dinamicità e differenziazione delle scelte di consumo, rapidità di cambiamento delle richieste ambientali, globalizzazione dei mercati e della concorrenza, elevata incertezza, innovazione tecnologica, riduzione del ciclo di vita dei prodotti, sono solo alcuni dei fenomeni che hanno interessato il mondo aziendale e che hanno prodotto una rivisitazione delle logiche strategiche e di organizzazione del lavoro. Uno dei principali driver organizzativi imposto da questo cambiamento è la necessità di riconsiderare le strutture per renderle maggiormente flessibili e rapide nel dare risposta al mercato, con il conseguente appiattimento degli organigrammi, un maggiore decentramento decisionale, la revisione delle modalità con cui si esprimono le relazioni tra diverse unità organizzative, l’aumento della dimensione della profondità della struttura, l’arricchimento e l’allargamento delle mansioni, per citare solo alcuni aspetti.
La de-gerarchizzazione delle strutture, lo sviluppo di canali di comunicazione orizzontali e di logiche di lavoro per processi, il moltiplicarsi dei punti decisionali impongono la presenza di figure di riferimento in grado di garantire il coordinamento e il mantenimento di standard di efficacia ed efficienza operativa e, quindi, di persone dotate di capacità di guida, di decisione, di conduzione dei gruppi, in altre parole, di persone in grado di esprimere leadership. E forse non a caso, in una recente indagine sulla formazione manageriale nelle imprese italiane (ASFOR, 2013) lo “sviluppo di una nuova generazione di leader” risulta tra gli aspetti identificati come maggiormente rilevanti per sostenere la competitività aziendale, dato che consolida le tendenze in atto negli ultimi anni ed evidenzia una priorità nello sviluppo della leadership come driver della formazione manageriale in Italia.
Il ruolo di riferimento che assume la figura del leader in azienda non risponde, però, soltanto ad esigenze puramente organizzative. Oggi uno dei compiti più difficoltosi, e allo stesso tempo critici, è gestire la complessità e l’incertezza non solo nelle loro ricadute strategiche e strutturali, quanto nell’impatto a livello di individuo, il quale, alle prese con la precarietà e la flessibilità, tende a perdere il controllo sul proprio presente e sulla possibilità di sviluppare programmi per il futuro.
In questa prospettiva, il sociologo e filosofo polacco Bauman, nei suoi più recenti studi sulla società e cultura attuale, introduce il concetto di modernità liquida, descrivendo una realtà in cui viene meno la possibilità di costruire certezze solide e durevoli nel tempo, non solo in senso fisico, ma anche concettuale e ancor di più valoriale. È una modernità caratterizzata da incertezza e variabilità, che assume uno stato liquido il quale, a differenza di un corpo solido, “non fissa lo stazio e non lega il tempo” (Baumann, 2002). A livello individuale, l’incertezza del futuro, la fragilità delle posizioni sociali, l’ansia esistenziale e la mancanza di saldi punti di riferimento sono componenti centrali di questa modernità e producono come rischio concreto quello di far perdere l’orientamento alle persone e minacciare la fiducia in noi stessi.
In questo contesto il ruolo del leader diventa quello di costruttore di senso e di connessioni tra i momenti organizzativi e le persone, aprendo un orizzonte finalistico nella quotidianità lavorativa degli individui e aiutandoli a comprendere le caratteristiche del presente, affinché “possano riuscire ad avere maggiore controllo su di esso e ad attivare le proprie potenzialità trasformative attraverso la capacità di prefigurazione del futuro” (Ghezzi, 2011).
Anche le più recenti teorie motivazionali sottolineano l’importanza per le persone di una attribuzione di senso alle proprie attività e ai propri sforzi. Il contributo proposto da Kenneth Thomas (2000), che descrive le principali ricompense intrinseche che sorreggono la motivazione del lavoratore, identifica come uno degli elementi chiave il significato del lavoro. Ciò richiama in altri termini quella che Goleman (2012) esplicita come la capacità di ispirare: una delle competenze emotive che l’autore attribuisce ai leader e che si esprime come la “capacità di ispirare i propri collaboratori innescando fenomeni di risonanza emotiva e guidando le persone coinvolte in un progetto a lungo termine o in una causa comune”.
Se, quindi, il tema della leadership appare così centrale nelle dinamiche organizzative e interpersonali, come elemento di equilibrio del gruppo e punto di riferimento delle persone, rimane certamente aperto il tema delle modalità più efficaci con le quali intervenire dal punto di visto formativo per favorirne il suo sviluppo a livello individuale, considerando le complessità insite nel processo di apprendimento degli adulti.
Secondo l’approccio del Self-Directed Change and Learning Process, proposto da Boyatzis (2000), l’apprendimento degli adulti si caratterizza per essere un cambiamento auto-diretto basato sulla presenza di alcune discontinuità, la prima delle quali è rappresentata dal raffronto tra la percezione della propria condizione ideale (sé ideale) e la consapevolezza della propria condizione attuale (sé reale). In questa fase, da cui dipende l’efficacia dell’intero processo di apprendimento individuale, diventa cruciale il momento del “riconoscimento”, attraverso il quale il soggetto prende consapevolezza dell’esistenza di alcune competenze da sviluppare e dell’importanza delle stesse per il proprio processo di cambiamento. In questa direzione notevole spazio trovano oggi le attività formative outdoor.
L’Outdoor Training presenta una serie di proprietà tecniche, che lo caratterizzano dal punto di vista metodologico, in grado di stimolare riflessioni puntuali e concrete nelle persone, favorendo una maggiore consapevolezza del proprio “sé reale”. Il contesto extra-quotidiano permette al partecipante di mettere alla prova le proprie capacità, di liberarsi dai propri schemi mentali e comportamentali e di provarne di nuovi. Lavorando, inoltre, sul piano metaforico si abbassano le resistenze e le difese individuali, mettendo le persone nella condizione di sperimentarsi e mettersi in discussione con una maggiore serenità. La formazione realizzata con l’Outdoor Training, pertanto, presenta i presupposti metodologici per favorire una maggiore consapevolezza di sé e la produzione di quella dissonanza cognitiva così importante per attivare il processo di cambiamento nelle attitudini e nei comportamenti lavorativi delle persone e diventa, in tal senso, un interessante punto di riferimento per lo sviluppo della leadership.
A partire dal 2011, la Fondazione CUOA, nell’ambito della linea di prodotti JobLeader, ha sviluppato una proposta formativa sperimentale per lo sviluppo della leadership, che coniuga l’approccio dell’Intelligenza Emotiva, proposto da Goleman, con le logiche dell’Outdoor Training e una particolare metodologia di intervento: la DanzaMovimentoTerapia. Questo approccio metodologico utilizza il movimento corporeo come percorso creativo di crescita personale, i cui principali strumenti sono il corpo, il movimento e la relazione: ciò significa fare un’esperienza di sé e del proprio corpo scandita dalle regole e dal ritmo della musica. Questo intervento formativo, che ha ottenuto il premio “SIOT 2013”, riconoscimento da parte della Società Italiana di Outdoor Training come migliore progetto Outdoor dell’anno, è strutturato in modo tale da creare uno spazio esperienziale per poter esprimere le competenze emotive legate allo sviluppo della leadership e favorire nei partecipanti, attraverso la sperimentazione nel corpo, con il movimento e il ritmo, lo sviluppo di una maggiore consapevolezza sulle proprie competenze e sul loro potenziale miglioramento. In questa giornata formativa, il partecipante, attraverso l’esperienza e la successiva osservazione, nella presenza e nel movimento di sé e dell’altro, riscopre se stesso e le sue risonanze soggettive e personali, che possono evocare immagini, sensazioni, emozioni in grado di costituire un acceleratore del processo di apprendimento. In questa esperienza, quindi, il movimento rappresenta simultaneamente contenuto e mezzo di apprendimento.

Un aspetto importante da tener presente e di cui è sempre bene essere consapevoli, è che un intervento formativo non può essere in grado, da solo, di produrre direttamente un meccanismo di cambiamento, il quale, come accennato, richiede un processo profondo e articolato; la logica, però, dovrebbe essere quella di stimolare i partecipanti ad una riflessione su di sé e sui propri schemi comportamentali, cui far seguire un percorso di autoapprendimento e ulteriori interventi formativi, anche combinando approcci metodologici diversificati, come ad esempio il coaching, che possano fortificare e consolidare l’acquisizione delle competenze alla base dello sviluppo della leadership.

* Francesca Chiara, consulente e formatore aziendale, trainer Outdoor, coach.
Coordina il Competency Development Center della Fondazione CUOA.

Maddalena Soro, formatore aziendale e DanzaMovimentoTerapeuta.

Riferimenti bibliografici
Bauman Z., (2007), Homo consumens, Centro Studi Erickson.
Bauman Z., (2002), Modernità liquida, Ed. Laterza, Roma-Bari.
Boyatzis R., (2000), “Developing Emotional Intelligence”, in C. Cherniss, R. Boyatzis, M. Elias, Developments in Emotional Intelligence, Jossey-Bass, San Francisco.
Ghezzi G. M., (2011), “Per un leader liquido-moderno”, Persone & Conoscenze, Este, Milano, numero 70 di giugno.
Goleman D., (2012), Leadership emotiva. Una nuova intelligenza per guidarci oltre la crisi, RCS Libri S.p.A., Milano.
Osservatorio ASFOR 2013, (2013), “IX Indagine Domanda di formazione manageriale”, ASFOR.
Spaltini G., Palmonari A., (1998), I gruppi sociali, Il Mulino, Bologna.
Thomas K.W., (2000), Intrinsic motivation at work : building energy and commitment, Berret-Koehler Publischers, San Francisco.