Finanza d'Impresa General Management

Risk sells but who’s buying?

A cura di Fabio Maccaferri e Andrea Fassi*

Trasferire il rischio di poste acquisite

Il rischio è un valore calcolabile e trasferibile. Nel settore auto le diverse formule sono ormai note e consolidate, dalla semplice responsabilità civile alla kasko che copre qualsiasi danno, si basa su serie storiche significative ed il trasferimento mediante polizza o formula alternativa quale full leasing è nota al pubblico retail.

Nel mondo dei rischi finanziari e dei rischi creditizi le formule di calcolo son altrettanto note, ma ad un pubblico di specialist che non sempre hanno una visione di insieme delle diverse possibilità, cosa invece richiesta dal management per prendere decisioni strategiche.

Il rischio in quanto quantificabile è sempre uno strumento finanziario ed il costo di trasferimento, che varia a secondo delle formule adottate, è definito dalla struttura del contratto rappresentativo del trasferimento. Quindi una volta definito il risk appetite si può decidere quanto rischio assumersi in proprio e quanto trasferirne a controparti interessate riequilibrando il risk parity tra poste in essere e risk appetite frame work. Come tutti i business vale la pena di assumere rischio indesiderato e trasferirlo finchè il costo di trasferimento è inferiore al margine dell’operazione, l’altra faccia della medaglia è che un costo di trasferimento basso si traduce in capacità di assunzione del rischio, maggiore possibilità di impiego e vantaggio competitivo.

Le transazioni commerciali hanno ormai assunto dimensioni rilevanti, i soli credit derivative swaps (CDS) si avvicinano ai 650 trilioni di dollari a livello mondiale (http://www.bis.org/statistics/dt21.pdf) a cui si aggiungono le altre forme di derivato finanziario, le polizze ed i derivati quanto che coprono sia il rischio di credito che un sottostante finanziario o reale. La logica è quella di scambiare un rischio di default a breve con uno a lungo pagando un premio. Esistono circuiti dedicati, come Markit e Seperderivatives, che hanno dimensioni paragonabili all’OTC di Bloomberg o Thomson Reuters sugli strumenti puramente finanziari.

Se il credito è invece anomalo si può comunque procedere ad un trasferimento, che sconta ovviamente il cds, ma ha impatti normativi diversi a seconda della forma scelta. La soluzione “tombale” è la derecognition normata del comma 5 dell’articolo 101 del Tuir ulteriormente chiarito da Ias 39, paragrafo 17 e seguenti che in estrema sintesi consentono di rimuovere la posta cedendola in toto ad un terzo. L’impatto è però notevole a livello conto economico in quanto va valutata la minusvalenza come differenza tra posta e valore di cessione mark to market (di solito notevolmente inferiore al 50%). Altre formule consentono di non impattare direttamente a bilancio trasferendo in uno strumento finanziario il rischio per poi procedere alla vendita dello strumento finanziario contenente le poste a rischio. Un esempio sono le polizze o le obbligazioni ABS che a fronte di un potenziale guadagno elevato trasferiscono il rischio (es. RMBS di Lehman Brothers). In teoria non sarebbero collocabili al retail, ma listare un certificates anche sul mercato italiano con questi sottostanti non è molto oneroso, strada per altro scelta da alcuni hedge funds (Certificate Commerzbank su Atomo Sicav Multistrategy). Un limite potrebbe essere rappresentato dalla complessità della struttura, che si traduce inevitabilmente in costi, che limita l’applicabilità a size decisamente elevate. Strutture più semplici permettono di raggruppare più posizioni anomale, come i first to default basket, che rappresentano un paniere di poste e prevedono un rendimento decrescente all’aumentare del numero di default nel periodo.

Trasferire il rischio in fase di acquisizione di una posta

Chiaramente trasferire un rischio acquisito non è l’unica scelta possibile, si può invece applicare scelte di condivisione del rischio a priori così come posso assicurare la mia auto o scegliere una formula che me ne dia il possesso e non i rischi correlati come noleggio e full leasing.

Il private equity è lo strumento base con cui la Banca può condividere il rischio direttamente alla fonte con l’impresa definendone in base alle quote la quantità di rischio da assumere. In questo senso vi sono molti esempi, anche italiani, dove la Banca entra in società con l’azienda divenendone socio per un periodo. Questo consente sia di trovare investimenti alternativi alla finanza tradizionale che di mantenere una governance su prodotti strategici e non si tratta di una novità se pensiamo a Datamat (Oracle) e Banca di Roma negli anni ’90.

Il rischio può essere trasferito anche operando un pivot sulle poste finanziate, in questo caso Basilea definisce il Commodities Lending, applicabile solo a beni generici e quindi non vale per tutti i settori, dove il rischio di credito viene garantito dal bene e non dal debitore ed essendo una commodity, quindi con un prezzo mark to market, si opera un pivot tra rischio di credito e rischio di mercato.

Un caso a parte è l’Islamic Finance che opera a livello di Profit & loss sharing (PLS) per definizione vedendo immorale l’usura ed il rischio non correlato all’economia reale. E’ un settore in fortissima crescita, circa il 50% in più della finanza tradizionale, e pur non avendo una forte diffusione in Italia rappresenta un’enorme opportunità. BCE ha stimato 58,1 miliardi di dollari di asset nel 2015 in Italia da gestire e la sola DeutsheBank l’anno scorso ha avuto un giro di affari di 1800 miliardi di dollari complessivamente. Il Regno Unito ha emesso nel 2015 un Sukuk (obbligazione che in realtà è un certificate of equivalent value quindi a zero rischio per l’emittente) e già alla fine degli anni ’90 i land tedeschi usavano questo strumento per finanziarsi. Si tenga presente che per la Shari’a sono lecite le Islamic Windows (sportello islamico di una banca tradizionale occidentale) già presenti nei maggiori gruppi come HSBC, BNP, Citigroup ecc.

Forme alternative sono quelle rappresentate da rapporti di credito dove la Banca ha un ruolo diverso da quello di creditore come il credito P2P di cui il crowd funding equity model sta prendendo piede in Italia. Significativo l’accordo tra Stars Up e Banco Popolare. Consob, prima in Europa, ha definito una normativa, che tra l’altro istituisce un albo degli operatori autorizzati e permette di non applicare la profilatura MiFID sotto determinate soglie, che facilita una rapida evoluzione del fenomeno. La forma più tradizionale è invece quella della securitization, cartolarizzazione, conto terzi dove il rischio di un terzo viene cartolarizzato e collocato senza un coinvolgimento della Banca che funge da collocatore ed al massimo da garante.

Conclusioni e future evoluzioni

Il rischio è uno strumento finanziario che permette sui due lati del mercato di trasferire perdite potenziali ad altri pagando un premio o di avere una remunerazione up front su possibili perdite future. Come tutti i prodotti ha un valore che dipende dalle caratteristiche tecniche e dal grado di copertura offerto. Il mercato stima questo valore principalmente (turnover) tramite CDS e quindi è possibile calcolare un fair value e confrontarlo col mark to market per identificare le “occasioni”.

Come a tutti gli strumenti finanziari e portafogli composti da questi asset sono applicabili i modelli classici di risk management sia per valutare la conformità al risk appetite sia per valutare l’adeguatezza del costo di trasferimento.

Anche questo mondo è impattato dai nuovi canali digitali che fungono da acceleratore di fattori quali rischi reputazionali e crowd sentiment e le informazioni derivanti da essi incluse in modelli innovativi possono dare un vantaggio competitivo anticipando i movimenti del mercato.

*Fabio Maccaferri
Consulente presso banche su tematiche organizzative,
qualitative e modelli quantitativi inerenti all’Enterprise Risk Management,
ai rischi di I° e 2° pilastro di Basilea 2 e 3, Performance Management,
Risk Management, Business Continuity Management.
Docente a contratto  di “ICT e Società dell’Informazione” presso l’Università Cattolica.
Docente CUOA Finance nei Progetti Executive per Manager del settore bancario.

 Andrea Fassi
Consulente e formatore in ambito banking per risk manager,
private bankers, analisti compliance, auditors.
Docente CUOA Finance nei Progetti Executive per Manager del settore bancario.