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Le prospettive delle piccole banche locali nell’attuale scenario congiunturale e di mercato

di Marco Ciabattoni*

Premessa

La lunga e defatigante crisi finanziaria ed economica, dalla quale ancora non si è definitivamente usciti – benché si registrino incoraggianti segnali di ripresa, peraltro ancora tutta da consolidare e irrobustire  – ha lasciato, come noto, un segno irreversibile soprattutto nei bilanci bancari, costretti a resistere nella morsa dei crescenti volumi di prestiti deteriorati – il che ha comportato una significativa impennata del costo del credito – e le maglie strette della regolamentazione prudenziale di vigilanza (oggi unificata a livello europeo per le banche di maggiore dimensione), cosa che obbliga gli intermediari ad essere ancor più selettivi nell’assunzione dei rischi, pena l’assorbimento di capitale regolamentare oltre i limiti consentiti.

È evidente che questa severa crisi ha comportato un radicale ed irreversibile mutamento del paradigma di business, imponendo l’esigenza di agire in un contesto new normal; questo è un dato di fatto ineludibile e come tale va definitivamente riconosciuto.

Ma c’è di più. Sotto la spinta della (sfavorevole) congiuntura si sono modificati (per sempre) gli equilibri strutturali che connotavano, in parte, la morfologia dell’intero sistema finanziario del nostro Paese. In conseguenza di ciò, alcuni modelli di governo societario adottati dal sistema bancario e lo stesso ruolo di taluni attori sono stati oggetto di riflessione e ripensamento, tanto da convincere il legislatore ad intervenire (con modalità che hanno anche fatto discutere) per accelerare il complessivo processo di riforma, innescato a ben vedere proprio dai mutamenti epocali scatenati dalla crisi finanziaria ed economica. Ci si riferisce, in particolare, alla riforma delle banche popolari (attuata con il D.L. 24 gennaio 2015, n. 3, successivamente convertito nella legge 24 marzo 2015, n. 33), alla riforma delle fondazioni di origine bancaria (si veda il protocollo di intesa negoziato in data 11 marzo 2015 tra ACRI e Ministero dell’Economia e delle Finanze) e alla riforma delle banche di credito cooperativo (BCC), che tuttora deve essere ancora definita chiaramente nei suoi contenuti.

Proprio quest’ultima categoria di banche, le banche di credito cooperativo, che rappresentano il campione della banca locale di riferimento per il territorio, registra una sorta di “crisi di modello” (non già crisi identitaria: il radicamento territoriale e la formula genuinamente mutualistica e cooperativa rimangono un valore di missione fondamentale da preservare), che va affrontata non solo sotto il profilo degli assetti di governo (cioè, ad esempio, attraverso la creazione di un gruppo economico in grado di offrire alle banche appartenenti ad esso adeguate garanzie patrimoniali e reputazionali da far valere sui mercati del credito e della liquidità), ma anche e soprattutto rivisitando la formula imprenditoriale, l’orientamento strategico di fondo, in modo da poter assicurare uno sviluppo durevole e sostenibile ed una effettiva, riconosciuta permanenza nell’arena competitiva a condizioni economicamente, patrimonialmente e finanziariamente adeguate.

In questo contributo, si pongono alcune questioni circa l’attuale posizionamento competitivo delle BCC e si suggeriscono le possibili prospettive future,  inquadrandole sullo sfondo di uno scenario congiunturale e di mercato in rapida e profonda evoluzione.

Il quadro generale al contorno

L’unione bancaria europea (fondata, come noto, su tre pilastri: meccanismo di vigilanza unico, meccanismo di risoluzione unico, disciplina armonizzata per i sistemi di garanzia dei depositi nazionali) rappresenta di fatto la risposta del regolatore (tardiva e forse un po’ troppo austera, secondo alcuni commentatori) alla crisi che ha investito l’economia globale; crisi inizialmente finanziaria, poi trasformatasi per contagio (spill over) in crisi dell’economia reale e, infine, in crisi del debito sovrano. Insomma, un innesco potenzialmente in grado di destabilizzare la più volte ribadita irreversibilità dell’euro, con conseguenze facili da immaginare.

Non a caso, la gestione (o gestazione?) faticosa e non certo ottimale della crisi greca ha evocato più volte il fantasma dello smantellamento dell’intera area dell’euro (peraltro, il trattato di Maastricht sull’unione monetaria europea prescrive meticolose e rigorose procedure per l’adesione alla moneta unica, ma non prevede alcuna norma che regoli l’eventuale uscita di un Paese dall’accordo, ad esempio attraverso un atto unilaterale di recesso). Solo di recente il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha in qualche modo sdoganato il tabù, non escludendo a priori l’ipotesi di uscita della Grecia dall’area della moneta unica (il neologismo grexit è alquanto efficace nel cogliere l’aspetto del tutto eccezionale di una tale prospettiva), ma il dogma dell’irreversibilità dell’euro resta (fortunatamente) un baluardo per la Banca Centrale Europea (BCE).

Date queste premesse, le attese per il futuro sono dunque per una vigilanza sempre più rigorosa e intransigente, da parte di Bruxelles, sui conti pubblici (e la solvibilità dei governi), nonché sulla sana e prudente gestione delle banche (e la tenuta del sistema finanziario nel suo complesso), poiché le due cose vanno, come si sa, strettamente a braccetto.

I punti di debolezza delle banche di credito cooperativo

Le banche locali di minor dimensione (tipicamente, le banche di credito cooperativo e le casse rurali e artigiane) stanno affrontando un momento critico senza precedenti, che mette a dura prova i loro conti economici e la stessa tenuta del modello di business.

La Banca d’Italia, per bocca del suo Governatore, già tempo fa ha segnalato come le BCC abbiano inizialmente risentito in misura relativamente contenuta dell’impatto della crisi finanziaria; in presenza di un arretramento delle banche più grandi, hanno continuato a fornire ampio sostegno a famiglie e imprese. Il dispiegarsi degli effetti della crisi sull’economia reale e le tensioni sul mercato del debito sovrano hanno successivamente condotto anche le BCC a rivedere le proprie politiche di finanziamento. Inoltre, a partire dal 2011, si è registrato un aumento della rischiosità dei prestiti, al quale si sono aggiunte difficoltà di provvista.

Di fatto, la crisi ha accentuato due vulnerabilità strutturali delle BCC: l’elevata dipendenza della redditività dal margine di interesse e la rigidità dei costi operativi, in parte ascrivibile ai ritardi accumulati dalle strutture di categoria nel rendere più efficiente l’attività di servizio alle associate.

Oltre a ciò, è stato osservato anche come “l’aspetto di maggiore vulnerabilità delle banche locali è rappresentato dal marcato deterioramento della qualità dei prestiti, per effetto, innanzitutto, di due pesanti recessioni dell’economia, ma anche di scelte gestionali e allocative rappresentative di un rapporto a volte non equilibrato con il territorio di insediamento. (…) L’aumento della rischiosità del credito e la riduzione dei flussi di finanziamento assumono particolare rilevanza per le banche locali, caratterizzate da modelli di operatività che più che negli altri intermediari dipendono dai ricavi dell’attività di erogazione dei prestiti e dall’andamento delle economie di riferimento”.

A fronte di tale sfavorevole scenario congiunturale, le banche locali di minore dimensione non hanno potuto innescare azioni correttive radicali; “è mancata la capacità di innovare il modello di attività e di diversificare i ricavi, perseguendo l’ampliamento e l’arricchimento qualitativo dell’offerta di prodotti e servizi, attraverso lo sfruttamento delle potenzialità insite nei legami intensi e di lungo periodo con la clientela. (…) La maggiore vulnerabilità reddituale delle banche locali dipende dalla rigidità della struttura dei costi. Per le BCC, l’appartenenza a un network e il supporto offerto dalle strutture federative non sembrano aver costituito, specie negli ultimi anni, un vantaggio competitivo. Anche per effetto dei ritardi nella razionalizzazione e nell’ammodernamento delle reti distributive, i costi operativi hanno continuato ad aumentare”.

Il punto centrale, che spinge verso la riforma dell’intero sistema, è che “la capacità di risposta delle banche del territorio appare tuttavia limitata, anche a causa delle debolezze presenti negli assetti di governance. La Banca d’Italia le sottolinea da lungo tempo: (i) scarsa dialettica all’interno dei board e assenza di effettivi contrappesi alle figure apicali, a causa di fattori che limitano la funzionalità degli organi, quali le competenze non adeguate e non abbastanza diversificate, il limitato ricambio, anche generazionale, degli esponenti, il numero elevato di membri; (ii) presenza frequente di conflitti di interesse, cui non corrisponde l’attivazione di efficaci processi interni di prevenzione e gestione; (iii) carenze dei meccanismi di pianificazione, che si riflettono in ritardi e scarsa lungimiranza delle scelte strategiche; (iv) debolezze nell’assetto dei controlli interni che, in assenza di adeguate risorse e professionalità, determinano il disallineamento dell’attività della banca rispetto alle strategie e alle politiche aziendali e ai canoni di sana e prudente gestione”.

Ecco perché, oggi, l’Autorità di Vigilanza insiste affinché si completi rapidamente il processo di riforma: “l’integrazione è un obiettivo non più rinviabile per le BCC italiane. Occorre individuare soluzioni che favoriscano un assetto del sistema meno frammentato e meglio strutturato, capace di superare gli svantaggi della piccola dimensione ma allo stesso tempo di preservare i valori della cooperazione e della prossimità con il territorio che da sempre costituiscono il punto di forza delle banche locali”.

Spunti e proposte finali

Le piccole banche locali soffrono anche di più adesso, strette come sono tra l’incudine di un crollo verticale dei ricavi da interesse (loro principale fonte di reddito) e il martello delle rettifiche sui crediti, dovute al marcato deterioramento degli impieghi.

Che fare dunque? Senza alcuna intenzione di prescrivere improbabili ricette, si vogliono però suggerire alcune “tesi” o “proposizioni” (tutte da dimostrare, beninteso) attorno alle quali rilanciare il dibattito sul tema del riposizionamento competitivo della BCC. Eccole elencate qui sotto:

i.        La crisi finanziaria ha comportato un radicale ed irreversibile mutamento del paradigma di business che impone l’esigenza di agire in un contesto “new normal”.

ii.        Le banche c.d. “commerciali” (o retail) non fanno, in realtà, tutte lo stesso mestiere: non basta emulare, occorre innovare le strategie coerentemente con la missione insita nella formula imprenditoriale prescelta.

iii.        Le operazioni di fusione sono un’opzione, non necessariamente l’unica via di uscita per risolvere situazioni di crisi aziendale; non è sufficiente un patto di governo per ripristinare gli equilibri di sana e prudente gestione, favorendo nel contempo la crescita sostenibile.

iv.        Il rigore sui costi non deve far dimenticare che essi sono l’espressione monetaria del contributo dei fattori produttivi immessi nella specifica combinazione di business; è sulla produttività di tali fattori lungo le filiere di processo che si dovrebbe fondare una credibile azione di efficientamento della struttura aziendale.

v.        Il modello di controllo della redditività della rete commerciale deve essere affiancato da appropriate misure di efficienza dei processi interni alle unità operative di sede centrale.

vi.        La ricomposizione dei ricavi (in particolare, i ricavi da servizi) nella formazione dei margini reddituali va coniugata in modo coerente con le caratteristiche del modello di business;

vii.        È necessario ripensare le logiche di segmentazione e portafogliazione della clientela, anche attraverso il ricorso ad analisi di tipo CRM (Customer Relationship Management), ove ritenuto conveniente ed appropriato.

viii.        La rete distributiva va ulteriormente valorizzata e riorganizzata, integrando i canali in maniera efficiente e pianificando i necessari investimenti nelle piattaforme tecnologiche e nei sistemi informativi.

ix.        Il ruolo della funzione finanziaria va ridefinito, valorizzato e focalizzato, indirizzandolo alla gestione proattiva del portafoglio di proprietà e al costante controllo dell’equilibrio monetario di liquidità, misurando i risultati del centro di profitto aggiustati per il rischio.

x.        Il ricorso all’esternalizzazione (outsourcing) di attività di processo resta un’opzione da valutare, specialmente per la gestione del recupero crediti, la valorizzazione dei collateral sottostanti ai prestiti erogati (specialmente se si tratti di garanzie reali) e la gestione immobiliare.

xi.        È necessario un ulteriore sforzo organizzativo per migliorare l’efficienza e l’efficacia del processo del credito, in particolare per quanto riguarda la valutazione del merito creditizio del prenditore ed il monitoraggio andamentale delle posizioni di rischio.

xii.        Il processo di controllo prudenziale deve essere posto al centro delle attività di pianificazione strategica ed operativa, esaltando il ruolo del risk manager quale attore di primo piano nella produzione, coordinamento e diffusione dei flussi informativi all’interno del sistema aziendale.

In conclusione, un’ultima considerazione: in un prossimo futuro potrebbe non essere inverosimile che le BCC vengano attratte – stante la probabile configurazione di gruppo che assumerebbero a seguito della ipotizzata riforma – nella sfera di competenza della vigilanza di Francoforte, posto che la dimensione consolidata del gruppo economico (o giuridico addirittura) che si formerebbe sarebbe tale da occupare una graduatoria di rilievo nella classifica nazionale dei gruppi bancari. A quel punto, sarà la BCE a sorvegliare direttamente le “piccole” banche locali e allora i profili di governance, gli assetti organizzativi, le strategie competitive dovranno davvero essere all’altezza di un livello di scala superiore, quello europeo.

Docente di “Metodologie e Determinazioni Quantitative d’Azienda” presso il Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali nell’Università di Padova. Membro del Collegio Sindacale di Venetobanca.
Docente CUOA sui temi di bilancio, finanza e controllo direzionale.