Finanza d'Impresa

Accesso al credito e rapporto con le banche. Intervista al CFO di Fonderie SIME Adolfo Farronato

1. Come è cambiato l’approccio al credito da parte delle aziende negli ultimi anni? E qual è la percezione delle imprese rispetto alla policy del credito delle banche?

Da sempre, risorse umane e risorse finanziarie costituiscono il carburante che consente alle aziende di procedere ed implementare le proprie strategie. Fermo restando che le aziende italiane hanno più la tendenza a ricorrere al capitale di debito piuttosto che al capitale di rischio, per ragioni storiche e culturali, direi che alla sua domanda la risposta che trovo più vera è che l’approccio da parte delle aziende non sia variato di molto; direi sia piuttosto cambiato l’atteggiamento delle banche. Da un atteggiamento più esterno e quasi di diffidenza approntato alla cautela da parte del finanziatore, e quindi prevalentemente orientato sulla “fiducia alla persona”, ci si è gradualmente spostati verso la “fiducia sulle idee”, cioè sul progetto da finanziare: si è passati da “chi finanzio” a “cosa finanzio”.
Da questo cambiamento anche le aziende traggono vantaggio perché “costrette” a misurarsi in maniera più profonda ed analitica sul progetto stesso: in azienda certamente venivano fatte analisi sulle scelte da fare e sui vantaggi ma per qualche realtà magari di dimensioni minori questa nuova direttrice può anche aiutarle nel processo decisionale.
Facendo un paragone con le recenti vicende bancarie delle Banche Venete non c’è dubbio che ancora fosse e lo sia tuttora presente spesso un rapporto più amicale e di relazione piuttosto che di mera valutazione della capacità creditizia del soggetto da finanziare. Ma, complici il confronto con le regole, i controlli ed i mercati, nonché la globalizzazione della informazione, mantenere e giustificare scelte non propriamente razionali anche da parte delle banche è sempre più difficile.

Tutti dobbiamo ormai confrontarci con il mercato: aziende e Banche.

2. Attualmente esiste un livello soddisfacente di reciproca trasparenza informativa tra imprese e banche? Cosa si potrebbe fare di più e meglio da entrambe le parti? Con quali strumenti e modalità?

L’introduzione delle norme e regole di Basilea 2 ha sicuramente agevolato il dialogo tra banca e azienda. Ha fatto chiarezza e disciplinato un rapporto che comunque lasciava margine talvolta ad atteggiamenti difensivi e di diffidenza, da una parte e dall’altra: i drivers e le regole individuate, giusti o sbagliati che siano, declinano parametri oggettivi dando così chiarezza alle scelte da parte della banca e alla giustificazione dei costi del finanziamento.
La “oggettivizzazione delle scelta” ha costretto ad una maggiore trasparenza.
A mio parere, in una materia così delicata, l’introduzione di normative e regolamenti è la migliore strada per portare ad un rapporto più corretto ed efficace tra le due parti: tra l’altro, ottenendo indubbi vantaggi anche per le aziende stesse che, “costrette” a misurare oggettivamente i propri indicatori, per soddisfare le richieste di informazioni che provengono dai finanziatori, possono adottare meccanismi di controllo più virtuosi.
Penso anche che rendere obbligatorio un “Information Report” per le aziende che superano un certo grado di indebitamento, per quelle non quotate ovviamente, possa essere utile. Da parte delle banche sarebbe invece buona prassi dare regolarmente notizia e motivazione del punteggio di rating che le stesse assegnano alle aziende.
Un ulteriore elemento per aiutare il dialogo e la trasparenza tra banca e azienda è sicuramente tracciare un più stretto legame tra mondo bancario e associazioni di categoria quali Confindustria, Confartigianato, Confcommercio. Molto di più di quello che oggi non si faccia.

3. Quanto sono percorribili alcune strade alternative al credito bancario (come ad esempio i Mini Bond) e in quali contesti e condizioni? Come valutare le nuove opportunità legate alle soluzioni del Fintech?

Alternative al credito bancario ve ne sono: escludendo il ricorso al capitale di rischio quali la quotazione in borsa, la partecipazione di Fondi di Private Equity, che spesso si avvicinano a realtà anche medio piccole con valide prospettive di performance, possiamo elencare il factoring, il crowdfounding, l’emissione di obbligazioni.
I cosiddetti Mini Bond, introdotti dal decreto sviluppo del governo Monti per le aziende non quotate e nello specifico rivolto alle PMI, sono uno strumento utilissimo, con un unico difetto: che tra Advisor, arranger , società di rating ed investitore, che vuole adeguatamente remunerato il proprio capitale capitale, sono poco competitivi se paragonati alla forma più tradizionale di finanziamento a ML che la Banca stesa può offrirti: pagare 5/6 punti in più è un onere che potrebbe essere talvolta giudicato elevato, specialmente con i tassi bancari dell’ultimo anno ai minimi storici. D’altro canto, se una banca tradizionale non assegna la giusta fiducia nella azienda ed ai progetti che questa intraprende o se il fabbisogno finanziario sia superiore alle normali capacità di fido, il ricorso a questi strumenti diventa una strada obbligata.
Secondo me la ragione della loro non grande diffusione, anche se oltre 300 aziende emittenti italiane di cui un centinaio con fatturato inferiore a 10 milioni non può dirsi un insuccesso è proprio questa: ma è altresì vero che le emissioni stanno gradualmente crescendo.
Crowdfounding e Fintech sono alternative che si stanno facendo strada e che rendono il mercato finanziario più vivace e quindi più competitivo anche per le banche tradizionali.
Col Fintech, ad esempio, lo smobilizzo dei crediti risulta in effetti molto più veloce: anche se un rapporto consolidato con la banca permette spesso tempi di norma ridotti.

4. In questo contesto quale può essere il ruolo del CFO come snodo fondamentale nel rapporto tra imprese e banche e come attore promotore di una cultura finanziaria diffusa?
Certo che il CFO ha un ruolo chiave! Che lo dica io è anche facile, essendo direttamente parte in causa per la professione che svolgo. E altresì facile cadere pure nella retorica dei luoghi comuni sul ruolo essenziale, per non dire strategico, che il CFO riveste quale trait d’union tra Banca e Impresa e che senza questa figura il business stesso ne possa risentire.
Diciamo che ciò è vero fino ad un certo punto, ma recenti statistiche hanno dimostrato che nella classifica delle aziende migliori per risultati economici, la figura del CFO è sempre presente (duole dirlo ma talvolta il CFO viene pensato come un quasi lusso!). La statistica in effetti potrebbe essere letta anche al contrario: le aziende che vanno meglio si dotano di un CFO, proprio perché se lo possono permettere! Ma l’apparente circolo vizioso va risolto in questi termini: se per le buone idee i capitali si trovano (quasi sempre!), la figura di chi le sa proporre alle banche o ad altri finanziatori declinandole nel modo più appropriato ritengo a buona ragione che questo sia un ruolo importantissimo. E poi, il denaro preso a prestito, va anche gestito, le pare?
A mio avviso perché tale figura è essenziale all’interno di un’azienda?

  • Il CFO capisce il mondo delle banche più di altri manager che in azienda svolgono un ruolo operativo, tecnico o commerciale che sia: usano un linguaggio comune
  • Allo stesso tempo il CFO, da manager che vive l’azienda, può meglio esprimere le necessità del business, traducendole in fabbisogno finanziario: questo aiuta certamente le banche
  • C’è anche un aspetto, come dire, “di relazione”: i bancari possono pormi domande che ad altri magari non farebbero, o per non sufficiente loro conoscenza di tematiche manageriali oppure semplicemente perché hanno con me un rapporto privilegiato. Si badi, il rapporto e la relazione umana sono ancora molto importanti anche se, come in precedenza espresso, fortunatamente avviati ad essere sempre più complementari rispetto ai parametri oggettivi dell’azienda
  • Aggiungerei un ulteriore elemento. Durante, ma anche dopo il periodo di crisi che si sta ormai stabilizzando, il CFO ha efficacemente svolto un ruolo fondamentale. Questo perché in presenza di risorse scarse, le aziende hanno imparato a spendere il giusto: da processi diciamo di “costs reduction” si è passati ad una logica di “costs review”. Il taglio dei costi, talvolta eseguito a scapito dello sviluppo stesso dell’azienda, si esprime oggi fortunatamente più con una logica di rivitalizzazione e riordino dei fabbisogni finanziari del business stesso, con un atteggiamento attivo e atto a progredire, piuttosto che di mera difesa del risultato a breve. Mi pare quindi evidente come in questo contesto il CFO abbia maggiori responsabilità a condurre il management operativo verso logiche razionali di investimento, a indirizzarlo verso un corretto binario di buona spesa. Questo significa CFO quale “diffusore di cultura finanziaria e manageriale”!

E, come dicono gli anglosassoni, last but not least, in riferimento al nostro territorio ed alla pluralità di piccole e medie imprese che lo compongono, mi consenta di mettere in evidenza un aspetto e rivolgere un invito a molti imprenditori. È importante che il ruolo del CFO, figura che in certe dimensioni poco strutturate non è presente, sia comunque e sempre coperto. Magari a tempo parziale, ricercando la figura nel temporary management, oppure ricorrendo a consulenti e professionisti esterni. È un mestiere, non un accessorio di lusso! L’aiuto che esso può dare talvolta potrebbe determinare il successo o l’insuccesso dell’impresa.

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