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FinTech, un settore in forte crescita con nuove opportunità di sviluppo

Pochi settori possono vantare di aver chiuso il 2018 con un fatturato in crescita del 40% rispetto al 2017. È questo il caso del FinTech, ovvero la combinazione di tecnologie digitali e servizi finanziari che sta trasformando il business della finanza sotto moltissimi aspetti, inclusa l’interazione con i clienti e l’erogazione dei servizi finanziari.
Dallo studio condotto da PwC sull’andamento del settore FinTech in Italia nel 2019, emerge un quadro tanto promettente quanto delicato, che necessita l’attenzione di istituzioni e investitori per evitare di spostare questa ricchezza fuori dai confini nazionali.

Si tratta di un settore estremamente variegato che include decine di categorie differenti: quella dei pagamenti elettronici, dei prestiti senza intermediari, del wealth management, delle assicurazioni innovative, dell’immobiliare, e molto altro. Ognuno di questi settori non sta semplicemente andando a offrire servizi innovativi a privati cittadini e aziende, ma sta andando a sviluppare, come vedremo più avanti, un nuovo rapporto tra le istituzioni finanziarie tradizionali, le aziende finanziarie innovative e i clienti finali.

Prendiamo il settore dei pagamenti per esempio.
Per decenni le banche hanno fatto affidamento a questo servizio come fonte di entrate costante. Negli ultimi anni abbiamo però assistito a una commoditization del servizio che ha eroso progressivamente i margini ottenibili, fino a farli diventare addirittura negativi. Mantenere in casa questo servizio avrebbe gravato inutilmente sulle tasche dei clienti finali, oltre che delle banche stesse, di qui la decisione di affidarlo ad alcune delle tantissime start-up del settore. Oggi i pagamenti innovativi rappresentano il segmento Fintech con il fatturato in maggiore crescita, +62%, ed il maggior numero di aziende, ovvero 46 su 278 aziende totali.

Non sempre però queste aziende si pongono come alternative più economiche alle istituzioni tradizionali. Il settore della gestione dei risparmi, come molte altre FinTech, punta infatti su una migliore esperienza di utilizzo del servizio, con interfacce più semplici e maggiori possibilità di personalizzazione, fattori che contribuiscono a rendere questo particolare settore non solo a crescita rapida, +47%, ma anche a buona marginalità, con un EBITDA pari al 18%. Fanno parte di questo settore stelle come Oval, start-up che ad oggi ha raccolto più di 11 milioni di Euro di finanziamenti. La tendenza ad offrire servizi più personalizzati a un bacino di utenti più ampio, andando quindi a estendere a normali cittadini e PMI i trattamenti prima riservati a utenti con patrimoni molto consistenti e grandi aziende, è diffusa in tutto il panorama FinTech in Italia e all’estero.

Vi sono poi aziende, come Modefinance, che sfruttano nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale e i ​big data per automatizzare processi notoriamente monopolizzati da grandi player internazionali, in questo caso specifico il ​credit risk management. Questo cambio evidenzia un nuovo tipo di rapporto tra FinTech, istituzioni finanziarie e privati. Abbiamo infatti una tecnologia, l’automazione, che consente da un lato di far accedere direttamente un privato qualunque a un servizio prima riservato a grosse aziende, disintermediando, in questo caso, le agenzie di rating, ma dall’altro consente anche alle banche di effettuare la stessa operazione di disintermediazione, questa volta per offrire un servizio più economico e personalizzato a una platea di clienti maggiore. Da questa nuova collaborazione tra FinTech e banche, e da questo nuovo avvicinamento del cliente alla finanza, nasce l’Open Banking.

Da banca, a ecosistema di servizi finanziari

Similmente ad altri processi di trasformazione, il percorso verso l’Open Banking è caratterizzato da diverse fasi, che in Italia si susseguono con circa 5 anni di ritardo rispetto al resto del mondo.
Si comincia con uno scontro iniziale tra le banche e le start-up, con le seconde che credono di potersi sostituire integralmente alle prime. A questa fase “idealistica” ne segue una di dialogo, in cui le start-up prendono coscienza del fatto di non poter andare lontano senza la solidità economica e finanziaria delle banche (in particolare, le banche hanno risorse e clienti, che è ciò che serve di più ad un’azienda giovane), mentre queste ultime cominciano a interessarsi alle nuove tecnologie e i nuovi servizi proposti dalle start-up; e iniziano così le prime iniziative congiunte, come gli hackathon per risolvere problemi comuni e trovare nuovi talenti. Segue una terza fase di collaborazione spinta, già diffusa da almeno 3 anni in altri paesi come gli USA o il Regno Unito, e che comincia a manifestarsi anche in Italia, dove le fresche idee delle start-up si incontrano con l’esperienza degli istituti di credito per concepire insieme prodotti e servizi innovativi.
Il passo successivo, che consente veramente di parlare di Open Banking, è quello di consentire l’integrazione di prodotti e servizi finanziari provenienti indifferentemente da banche o FinTech, attraverso l’utilizzo di interfacce di programmazione aperte (​open API), l’utilizzo di codici di programmazione open-source da entrambi i protagonisti, e la trasparenza dei dati di entrambe le parti. A quel punto si farà fatica a distinguere i confini tra una banca e le start-up con cui collabora, andando a creare a tutti gli effetti un ecosistema.

Questo avvicinamento tra FinTech e banche è reso evidente dal crescente numero di alleanze stipulate tra loro: 42 alleanze dirette nel 2019 solo in Italia, per un valore complessivo di 17M€, più altre 11 tramite acceleratori e incubatori, pari ad altri 5M€. C’è anche un’altra forma di collaborazione interessante, ovvero le partecipazioni delle banche nel capitale delle FinTech, pari a 6M€ divise in 7 transazioni (tutti i dati provengono dalle indagini della Banca d’Italia).
Le alleanze tra FinTech e banche fanno parte di un trend più ampio che caratterizza il settore: il consolidamento, ovvero il crollo del numero di nuove start-up e lo sviluppo delle aziende esistenti. Ci sono altri importanti fattori che spingono in questa direzione. Il primo è la tendenza a espandere la propria offerta: quasi tutte le start-up nascono focalizzandosi su un determinato servizio, ma tendono a espandersi andando a mangiare terreno ad altri giocatori. Per esempio, Oval è nato come app per la gestione digitale del portafoglio titoli, ma oggi si occupa anche di pagamenti via smartphone. Il secondo è la polarizzazione degli investimenti verso le aziende già consolidate: in altre parole, chi è già avviato riceve finanziamenti per proseguire l’espansione, mentre le aziende appena nate beneficiano molto raramente del cosiddetto “seed investing”, diminuendo il numero di potenziali giocatori futuri. Il terzo ed ultimo fattore è la generale tendenza alla globalizzazione sia per la ricerca di capitale che per l’espansione geografica: chi non trova capitali in Italia, come evidenzieremo fra poco, fa presto a trovarli all’estero, mentre le aziende consolidate all’estero spesso trovano in Italia un mercato ampio e poco battuto da altre FinTech.

Investimenti: il problema più significativo, e la leva su cui agire

In effetti, è proprio il capitolo degli investimenti che evidenzia la principale differenza tra l’Italia ed il resto del mondo.
Il 2019 è stato un anno record per gli investimenti nel settore FinTech in tutto il mondo, in particolare per quelli destinati alle start-up, che hanno raggiunto la cifra record di quasi 34 miliardi di dollari. Bene, in Italia gli investimenti nel settore sono scesi da 197 milioni a 154 milioni dal 2018 al 2019, portando l’Italia al 24° posto della relativa classifica mondiale (per intenderci, abbiamo investito il 3,1% di quanto ha investito la Gran Bretagna nello stesso anno).

Ma non finisce qui. Il 75% degli investimenti nel 2019 sono concentrati in solo 5 transazioni destinate, come accennato precedentemente, ad aziende già solide, lasciando le start-up prive dei finanziamenti iniziali necessari per poter cominciare a lavorare. Abbiamo quindi società dalle prestazioni impressionanti come MoneyFarm, Soldo e OvalMoney che decidono di costruire la propria fortuna (e quella dei loro finanziatori) all’estero, e molte altre che invece non cominceranno mai il loro cammino in Italia, probabilmente tornandoci solo per raccogliere nuovi clienti.

Ma andiamo più a fondo. Delle 278 aziende FinTech in Italia, il 54% hanno sede in Lombardia, e solo il 3% nel Veneto. Il motivo di questa discrepanza abissale è abbastanza ovvio: abbiamo parlato di Open Banking, e la maggior parte delle banche italiane è basata a Milano, abbiamo accennato agli incubatori ed acceleratori di start-up, ed anche questi sono basati a Milano e dintorni, ed abbiamo parlato di tecnologie e competenze finanziarie, che ancora oggi sono concentrate maggiormente attorno alle grandi università del capoluogo lombardo. Il punto chiave è che questa discrepanza tra Lombardia e Veneto non ha motivo di rimanere così marcata in futuro, tanto più se consideriamo la nuova diffusione dello smart working.

Per riequilibrare la partita, non possiamo però fare affidamento agli interventi del governo, perché difficilmente questi riuscirebbero a premiare le imprese meritevoli in tempi stretti e in modo semplice. Ma non possiamo neanche affidarci agli investimenti di aziende private, che oggi, soprattutto con questa crisi legata al coronavirus, si tengono stretta la liquidità che hanno.

Possiamo però pensare agli imprenditori affermati, che potrebbero destinare una parte dei loro risparmi a investimenti più arditi ma potenzialmente molto redditizi e di grande impatto sul territorio. Investire nel FinTech vuole infatti dire infatti incentivare le nuove imprese e l’imprenditorialità, avvicinare le PMI ai prestiti e ai servizi finanziari in generale, e portare nel nostro territorio competenze rare e strategiche. Non è forse ragionevole che chi ha ottenuto tanto puntando su se stesso e sul suo territorio, scommetta una seconda volta su una nuova generazione di imprenditori?

C’è molto da cui prendere ispirazione nel come si sta sviluppando il settore FinTech in Italia e nel mondo: nuovi modelli di collaborazione tra aziende consolidate e start-up innovative, nuove strategie che puntano a rilasciare il valore intrappolato piuttosto che a limare le quote di mercato, e l’utilizzo della tecnologia come fattore abilitante per nuovi modelli di business. E ci dà molto su cui riflettere, in particolare sulla responsabilità degli investitori nello sviluppare le opportunità del futuro in Italia. E tra tutti gli investitori, forse gli imprenditori veneti affermati potrebbero conquistarsi un nuovo ruolo, diventando pionieri per l’ennesima volta nella loro carriera.

Autori:
Riccardo Clocchiatti – Business Partner PwC Advisory, Faculty member CUOA Finance e Giovanni Baldassarri – Consultant PwC Advisory , Faculty member CUOA Finance

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