Imprenditorialità e Governance

La sostenibilità segnerà la “fine” delle aziende tradizionali?

di Federico Rossi – Sintesi Comunicazione*

Numerose ricerche evidenziano come per gli italiani “sostenibilità” faccia rima con risparmio energetico e rispetto dell’ambiente.
Il dato positivo che generalmente emerge è la costante crescita della percentuale di persone (e quindi di consumatori) che dichiarano di sapere cosa sia la sostenibilità e di utilizzare questo aspetto come driver di acquisto (e qui si potrebbe aprire una più ampia analisi sul fatto che il mercato ci ritorni una fotografia che vede tendenzialmente un consumatore più evoluto e sensibile rispetto alle aziende).
Di converso, però, il concetto di sostenibilità resta ancora quasi esclusivamente bloccato sul fronte ambientale commistionandosi, a volte impropriamente, con sfumature ambientaliste e bio.
Anche il famoso trinomio reduce, reuse, recycle presenta un’accezione esclusivamente ambientale. Già nel 1997 Elkington disegnava il modello della triple bottom line, mettendo a sistema profit, people e planet ovvero sostenibilità economica, sociale e ambientale.
La strada per il più ampio concetto di Corporate Social Responsability era segnata.
Per quanto ancora non così radicata nel DNA di molte aziende, anche la CSR mostra alcune lacune.
L’approccio alla sostenibilità di molte aziende è ancora solo reattivo ovvero di risposta a pressioni esterne (cogenze normative, spinte forti del mercato, crisi ambientali ecc.) e quindi separato da una visione evolutiva, differenziale e strategica della generazione del valore.
La sostenibilità viene, in alcuni casi, subita come un qualcosa che si deve fare perché qualcuno lo richiede o perché i competitors si stanno muovendo. Di fatto un’occasione persa, che non solo non tiene conto dei mutamenti (spesso repentini e disruptive) dei modelli aziendali, ma che non “sfrutta” le potenzialità di sviluppo e di potenziamento delle performance che questo approccio permette.
Il cambio può essere epocale: non più profitto per remunerare il capitale, ma benessere condiviso, non più shareholders, ma stakeholders.
Ecco che il trinomio reduce, reuse, recycle diventa condivisione, partecipazione, relazione.
L’azienda non è più un sistema meccanicistico, ma un eco-sistema relazionale che per funzionare al meglio deve garantire il massimo benessere per tutte le persone (interne ed esterne) coinvolte nei processi di generazione del valore.
In questo nuovo contesto la produzione di reddito non è un mero fine aziendale, ma diventa strumento per garantire continuità a un’organizzazione che deve distribuire e condividere valore e benessere anche con i suoi collaboratori, con i suoi fornitori e più in generale con tutta la collettività di riferimento.
E proprio il concetto di benessere condiviso segnerà il punto di discontinuità.
Un benessere che non vorrà dire filantropia, ma che rappresenterà un nuovo modello che unirà al tradizionale fine ultimo del reddito, gli obiettivi reali e concreti di un impatto positivo sulle persone e sull’ambiente, basando le proprie strategie sui concetti di responsabilità, etica e trasparenza come acceleratori di efficienza.
Al centro della nuova visione c’è il benessere della persona sia essa un cliente, un collaboratore, un fornitore, un cittadino.
Tutti gli stakeholders influiscono sul processo di creazione del valore e a tutti gli stakeholders deve essere garantito un “giusto compenso”. Compenso che, nella nuova visione, non è solo economico, ma basato anche su valori più profondi e personali.
I collaboratori, i fornitori, il mondo del credito non sono più delle mere figure funzionali, ma diventano attori protagonisti del processo di generazione del valore e come tali andranno gestite.
Anche la collettività di riferimento gioca un ruolo importante e non può più essere letta solo come uno scenario di fondo in cui l’azienda si muove in modo avulso.
L’azienda è sempre più un organismo vivo che interagisce in modo forte e simbiotico con il contesto in cui opera; per questo deve essere rispettosa del suo equilibrio, prodigandosi responsabilmente per il suo sviluppo e la sua crescita.
La nuova parola d’ordine è “open”: open leadership, open innovation, open organization.
I vecchi schemi non reggono più.
I sistemi chiusi non reggono più.
Le strutture verticistiche e i vecchi modelli organizzativi non reggono più.

Tutto è open, tutto è liquido, tutti sono attori protagonisti.
Come evolveranno le strutture organizzative?
Avrà ancora senso parlare di CEO, direttore marketing, operaio?
Come evolveranno le strutture proprietarie (se esisteranno ancora per come le abbiamo tradizionalmente intese)?

La commistione di ruoli, di organizzazioni, di pensiero rappresenta un fattore di crescita, di sviluppo, di competitività. E le tecnologie oggi non fanno che rendere possibili, accelerare e ottimizzare queste dinamiche.
Ma il problema non è (solo) tecnologico. La risposta non è (solo) l’industria 4.0.
La tecnologia dà, la tecnologia “toglie”; basta pensare ad Amazon, Uber, Airbnb.

Il nodo sta nell’evolvere l’azienda come organismo sociale e relazionale.
La sfida è epocale e forse folle, ma nel nuovo millennio solo chi riesce a interpretare il cambiamento in modo disruptive vince.
Valori come la trasparenza, l’equità, la legalità e la moralità sono imprescindibili perché sono le fondamenta sulle quali costruire un futuro solido e credibile.
Un futuro basato sul miglioramento continuo, sulle buone pratiche gestionali, sull’efficacia e l’efficienza dell’operato aziendale.
Un futuro che travalica il confine aziendale, assumendo una valenza sociale che rappresenta allo stesso tempo valore da distribuire e linfa vitale con la quale prosperare.

Ecco che la sostenibilità si evolve, da fenomeno inizialmente di nicchia a momento quasi rivoluzionario e di rideterminazione dei modelli di business fino ad arrivare, facendoci trasportare dall’iperbole (molto concreta però), a nuovo modello economico.
Una terza via. Una sorta di capitalismo sociale che si pone come soluzione concreta all’utopia socialista e agli evidenti fallimenti che il capitalismo sfrenato di fine millennio ha palesato in modo spesso devastante.

*Partner operativo del progetto Economia Circolare