Imprenditorialità e Governance

Champions si diventa: noi vi spieghiamo come

di Paolo Gubitta*

Lunedì 11 giugno alle 18, in occasione della presentazione del libro di Filiberto Zovico (Nuove imprese. Chi sono i Champions che competono con le global companies), discuteremo con Federico Visentin e Chiara Rossetto i casi MEVIS e Molino Rossetto, due aziende champions del network CUOA. Paolo Gubitta coordinerà l’incontro e ci anticipa i contenuti dell’evento.


Ho immaginato di essere in compagnia di una persona che mi chiede di dargli delle buone ragioni per partecipare all’incontro al CUOA dell’11 giugno sulle imprese Champions, salite alle cronache dallo scorso marzo, quando il libro di Filiberto Zovico è stato presentato nientepopodimeno che alla Borsa Valori di Milano.

Interlocutore immaginario«Cosa sono veramente queste Imprese Champions di cui si fa un gran parlare?».

Paolo Gubitta – La risposta è semplice: sono imprese che hanno ottenuto eccellenti prestazioni economiche e finanziarie:

  • tasso annuo composto di crescita (CAGR) superiore al 7% nel periodo 2010-2016
  • margine operativo lordo (EBITDA) medio negli ultimi tre esercizi superiore-uguale al 10%
  • rapporto tra debiti e totale attivo (Rapporto di Indebitamento) inferiore-uguale all’80%
  • rapporto tra Posizione Finanziaria Netta e EBTDA inferiore-uguale a 1,85
  • risultato netto positivo nel 2016.

Interlocutore immaginario«Beh, ho già capito! Saranno i soliti nomi noti: imprese grandi e “ben equipaggiate” che non hanno nulla a che vedere con le nostre comuni imprese».

Paolo Gubitta – La risposta è altrettanto semplice: no, non è così come pensa!
Le Imprese Champions, si fa per dire, sono aziende piuttosto comuni:

  • almeno 20 addetti
  • fatturato 2016 tra 20 e 120 milioni di euro
  • proprietà privata (con esclusione di quelle controllate da fondi di investimento), proprietari di nazionalità italiana, solo imprese for profit
  • indipendenti, nel senso che non sono filiali di multinazionali o gruppi stranieri
  • industriali e di servizi, ad esclusione delle costruzioni, della gestione e smaltimento rifiuti e delle attività riguardanti lotterie, scommesse e gestione delle sale da gioco.

Interlocutore immaginario«Ah, però! Allora la questione si fa molto interessante: come si diventa Champions.

Paolo Gubitta – Questa è una splendida domanda e la risposta non è semplice come quelle precedenti, perché (per la fortuna di tutti) non esistono algoritmi che indicano la strada migliore per raggiungere posizioni di eccellenza.
Ci sono però metodi consolidati, che gli imprenditori e i loro top management team possono applicare nelle loro imprese, adattandoli alle specificità del business e integrandoli con la storia, le competenze e i valori di riferimento delle loro imprese, fino a ottenere una combinazione di metodi, approcci, saperi e valori così originale e unica da essere inimitabile.
È così che si costruisce il percorso verso l’eccellenza ed è per questo che diventare Champions è (quasi) alla portata di tutti.
Ma come si fa? Ecco alcune (e solo alcune) indicazioni, che si ricavano dai recenti studi manageriali:

  1. sviluppare la capacità di intraprendere profondi processi di cambiamento senza dover attendere una crisi, quando ormai è tardi per prendere le necessarie contromisure
  2. sviluppare capacità di leggere e interpretare l’ambiente, disponibilità al cambiamento, propensione a prendere iniziative anche in situazioni di deficit informativo (insomma, quando c’è incertezza sulle possibili evoluzioni di una situazione): sono le capacità più importanti per anticipare il cambiamento, prima che venga imposto dalle condizioni esterne
  3. diventare «robusti»: la robustezza permette di resistere alle crisi impreviste e imprevedibili, mantenendo l’operatività e l’efficienza, e con gli anni che corrono bisogna saper affrontare molte sfide diverse
  4. sapersi «adattare»: l’impresa riesce ad adattarsi alle varie situazioni quando le parti dell’organizzazione sono in stabile comunicazione le une con le altre, ma non dipendono l’una dall’altra per la propria operatività; se così non fosse, quando salta una parte rischia di saltare tutto
  5. favorire processi di delega decisionale e di responsabilità per conferire robustezza all’organizzazione e maggiore capacità di adattamento
  6. considerare l’errore come fonte di apprendimento per l’intera organizzazione, cambiando i sistemi di misurazione delle prestazioni
  7. sviluppare la cosiddetta sensibilità alle operations, che significa rendere ogni persona nell’organizzazione consapevole dell’intero processo cui partecipa, favorendo una visione a 360 gradi e mai limitata alla singola attività svolta
  8. saper gestire processi di innovazione sia incrementali sia radicali: i primi valorizzano la conoscenza cumulata e portano all’exploitation (che fa efficienza e incide molto positivamente sul conto economico); le seconde favoriscono processi di exploration (più rischiosi e costosi, e più soggetti a errore)
  9. favorire l’imprenditorialità diffusa all’interno dell’impresa, sia attraverso i processi di delega sia con percorsi di corporate spin-off o altre forme che permettono alle persone di esprimere il loro talento nella creazione di valore (economico e non solo)
  10. sviluppare un mindset di tipo outside-in, che parte dal mercato e poi cerca di produrre prodotti e servizi in modo creativo sulla base delle opportunità offerte dal mercato stesso, che è ben diverso dall’approccio inside-out, che spinge l’impresa a porsi sul mercato sulla base del punto di vista ristretto dei propri clienti, che la osserva solo attraverso la lente dei propri prodotti.

*Paolo Gubitta, ordinario di Organizzazione aziendale e Imprenditorialità all’Università di Padova e direttore scientifico Centro per l’Imprenditorialità e le Imprese Familiari (CEFab) CUOA Business School